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Vaccini: la disinformazione produce i suoi effetti

La disinformazione produce i suoi frutti. Soprattutto quando si parla di vaccini.

Le vaccinazioni sono considerate fra le scoperte scientifiche più importanti per il genere umano, ma continuano in qualche misura a far paura. Fino a non più tardi di tre decenni fa, era ben percepito il rischio ed anche il terrore di malattie come la poliomielite che provocava non solo morti, ma anche paralisi dei bambini, con effetti visibili, tangibili. Oggi invece, grazie ai vaccini, si è persa la percezione del rischio di gran parte delle malattie infettive. Per questo motivo molte famiglie li ritengono ormai inutili. Mentre invece non sono affatto inutili: basti pensare che molte malattie infettive oggi scomparse in Italia sono diffuse ancora in molti Paesi.

Non vaccinare significa esporre bambini a rischi per tutta la vita, in particolare se stanno in comunità dove la copertura vaccinale è bassa. Per non parlare dei viaggi all’estero: in molti Paesi non è possibile andare senza adeguate vaccinazioni.


Motivazioni a vaccinare

Ma quali sono le dinamiche psicologiche che portano le madri a decidere sulle vaccinazioni dei loro figli? Vi sono svariati studi che hanno identificato importanti fattori positivi e negativi in relazione all’attitudine a vaccinare.

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Tra i fattori positivi vi sono la prevenzione delle malattie, l’aiuto alla comunità, la partecipazione all’immunità di gregge (se tutti sono vaccinati nessuno contrae la malattia), il rispetto la norma culturale (il banwagoning, ovvero ciò che più fanno gli altri).

Tra i fattori negativi troviamo la paura degli effetti collaterali, il cosiddetto “contratto sociale invertito”: se gli altri sono vaccinati, il rischio decresce, il considerare la malattia come molto rara, la convinzione che sia meglio sviluppare l’immunità naturale piuttosto che quella vaccinale

 

 


Il fraudolento studio sull’autismo

Nonostante l’efficacia e la sicurezza della vaccinazione, in più occasioni confermate dall’intera comunità scientifica, si moltiplicato i sostenitori del supposto “pericolo dei vaccini”. La facilità comunicativa offerta dalle nuove tecnologie ed in particolare i social network, favorisce la disinformazione, alimenta la paura, crea allarme sociale.

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Come il presunto (e smentito) legame tra vaccini e autismo, sostenuto dapprima dall’autorevole Rivista inglese Lancet da Andrew Wakefield, salvo poi essere espulso dall’Ordine dei medici per truffa. Andrew Jeremy Wakefield, con una pubblicazione scientifica fraudolenta, nel 1998, sostenne la correlazione, tra il vaccino trivalente MPR (morbillo, parotite, rosolia) e la comparsa di autismo e malattie intestinali.

Dopo quattro anni dalla pubblicazione dell’articolo nessun altro ricercatore era riuscito a riprodurre i risultati di Wakefield, o a confermare la sua ipotesi sulla correlazione tra disordini gastrointestinali infantili e autismo. Il reporter Brian Deer, in un’inchiesta del 2004 del Sunday Times, rilevò un conflitto di interessi economici non dichiarato da parte di Wakefield, a causa del quale la maggior parte dei suoi coautori ritirò il supporto sull’interpretazione degli studi.

Lo studio fu presto ritirato: si scoprì che Wakefield era stato pagato per alterare i risultati al fine di supportare una serie di cause giudiziarie intentate da un avvocato contro le case farmaceutiche produttrici dei vaccini. Inoltre si scoprì che Wakefield aveva brevettato un sistema di vaccini separato per sostituire il trivalente che aveva additato come causa dell’autismo.

Le complicazioni “giudiziarie”

A complicare la questione e disorientare i cittadini, sopraggiungono anche le decisioni di alcuni tribunali, che hanno dato ragione alle famiglie che accusavano i vaccini come i responsabili delle malattie dei propri figli.

Il giudice del lavoro di Rimini, nel 2012 aveva stabilito un nesso tra la vaccinazione trivalente Mpr (morbillo-parotite-rososlia) e l’insorgenza di autismo in un bambino vaccinato nel 2002. La sentenza condannava il Ministero della Salute riconoscendo il diritto all’indennizzo previsto dalla L. 210/92 per la famiglia del bambino. Questa sentenza, che veniva ritenuta “storica” è stata ben presto utilizzata come punto di riferimento in molte cause civili per danni, avviate successivamente.

Il Ministero della salute ha fatto ricorso alla Corte d’Appello che ha nominato un consulente tecnico d’ufficio: il dottor Lodi ha stroncato i presupposti della decisione del giudice del lavoro definendo “scientificamente irrilevanti” le ragioni della sentenza riminese. Nel giudizio di secondo grado, formulato dalla Corte d’Appello di Bologna – che di fatto ha ribaltato la sentenza del giudice del lavoro di Rimini – il medico “ha segnalato in modo minuzioso la non pertinenza e la non rilevanza degli studi in essa citati”. Il consulente della famiglia ha presentato le ricerche del medico inglese Wakefild, autore di un articolo su Lancet sui collegamenti tra vaccini e autismo, che poi venne ritrattato dai coautori e, alla fine, ritirato dalla rivista stessa. “Sono studi irrilevanti – ha scritto il perito – smentiti dalla comunità scientifica”. Inoltre “nella storia clinica del bambino non c’è un’oggettiva correlazione temporale tra la progressiva comparsa dei disturbi della sfera autistica e il vaccino Mpr, vi è solo il fatto che i due eventi avvengano uno prima e uno dopo, ma come dimostrato, ciò non è sufficiente a mettere in relazione i due eventi”.

Il risultato? In Italia abbiamo assistito ad un crollo spaventoso delle vaccinazioni: fino a -25% per morbillo e rosolia. Una vicenda surreale che rischia di riportarci indietro di mezzo secolo, quando di molte malattie, oggi quasi sparite, si moriva giornalmente.

Quindi cosa fare?

Da una parte la rilevanza scientifica della necessità di vaccinare i bambini. Dall’altra il dato allarmante del calo delle vaccinazioni e dei primi decessi per malattie evitabili con il vaccino.

È necessario pertanto, a fronte dei dubbi dei cittadini, che gli tutti i Professionisti Sanitari siano in grado di far comprendere che la mancata vaccinazione crea un rischio enormemente più alto rispetto a quello temuto di eventuali effetti collaterali, attivando al contempo tutte le strategie, organizzative, comunicative e culturali per evitare che il patrimonio di salute pubblica conquistato in anni di campagne vaccinali vada disperso.