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Diabete di tipo 2: ecco “liraglutide”, molecola che non fa male né al cuore né ai reni

Oltre a garantire il controllo glicemico nel diabete di tipo 2 e a permettere il calo di peso, una molecola analoga del GPL-1 umano, il liraglutide, ha anche un effetto statisticamente significativo in termini di riduzione della comparsa e del peggioramento dei danni renali.

I nuovi dati sono stati presentati al 52° congresso europeo di diabetologia EASD in corso a Monaco. Si tratta dei risultati di LEADER (Liraglutide Effect and Action in Diabetes: Evaluation of Cardiovascular Outcome Results—A Long Term Evaluation), studio di sicurezza (safety) cardiovascolare, trial disegnati su esplicita richiesta delle autorità regolatorie del farmaco per escludere che i farmaci anti-diabetici possano essere dannoso da questo punto di vista, gli eventi cardiovascolari essendo la prima causa di morte per questi pazienti. Partito nel 2010, LEADER è stato condotto su 9mila pazienti (3337 donne e 6003 uomini) ad alto rischio cardiovascolare, arruolati in 410 centri di 32 paesi tra cui l’Italia e seguiti per un periodo da 3,5 a 5 anni.

Rallentamento della progressione del danno renale

LEADER ha mostrato un interessante effetto del liraglutide sulle complicanze microvascolari, in particolare la riduzione della progressione della nefropatia diabetica, disturbo che porta a insufficienza renale, dialisi e necessità di trapianto ed è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. «Quattro pazienti diabetici su dieci vanno incontro a serie complicanze dovute ad una progressiva perdita della funzione renale» ha spiegato il professor Johannes Mann, del dipartimento di nefrologia e ipertensione dell’università di Erlangen-Nuremberg in Germania, presentando i nuovi dati oggi a Monaco.

La complessiva riduzione del danno renale e della sua progressione (del 22% rispetto al placebo) è stato principalmente prodotto dalla riduzione della comparsa di macroalbuminuria persistente (ossia di elevati livelli di una proteina chiamata albumina nelle urine), che si è verificata con una frequenza significativamente inferiore (-26%) nei pazienti in cura con liraglutide rispetto al placebo. Analoghi risultati sono emersi nei sottogruppi di pazienti senza, con leggero e con moderato danno renale. Il professor Giorgio Sesti, ordinario di Medicina interna presso l’Università degli studi «Magna Grecia» di Catanzaro, coordinatore di uno dei centri coinvolti nello studio e presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID), lo ha definito «un risultato del tutto inatteso» e che merita di essere ulteriormente indagato.

Riduzione del rischio cardiovascolare

Dati già apparsi sul New England Journal of Medicine avevano mostrato che la molecola riduce gli eventi cardiovascolari maggiori, con una conseguente riduzione della mortalità. «I risultati dello studio LEADER sono andati ben oltre le attese», ha affermato Edoardo Mannucci, professore associato di Endocrinologia all’Università degli Studi di Firenze e direttore Sod Diabetologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, coordinatore di un altro centro coinvolto nello studio. Infatti, tra i pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio di eventi cardiovascolari durante il trattamento standard, i soggetti in terapia con liraglutide hanno avuto una minore incidenza di eventi cardiovascolari (con una riduzione del 22% del rischio di morte per cause cardiovascolari, del 12% del rischio di infarto miocardico e dell’11% di ictus non fatali) e di morte per qualsiasi causa (riduzione del 15%) rispetto alle persone del gruppo placebo.

«In cifre significa che ogni sei decessi nel gruppo di controllo, uno sarebbe sopravvissuto se assegnato al liraglutide», un dato ancor più rilevante se si considera, ha sottolineato il professor Mannucci, che è stato ottenuto su pazienti ad alto rischio, a causa di un pregresso evento (ad esempio infarto o ictus, nell’81% dei soggetti) o della presenza di molteplici fattori di rischio.

Il diabete: una pandemia

Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Oms nel Global Reports on Diabete 2016, il diabete affligge oggi 422 milioni si persone nel mondo (5 milioni di italiani), un numero quadruplicato dal 1980, il 90% dei quali con diabete di tipo 2. Nel 2012 ha causato 1,5 milioni di decessi. Si stima che il numero di pazienti raggiungerà entro il 2040 i 642 milioni. Un adulto su undici ha il diabete e uno su due non sa di averlo. Fino al 70% dei casi di diabete di tipo 2 potrebbe essere evitato con un adeguato stile di vita. Intanto il peso di questa malattia sulle casse del Servizio sanitario nazionale è arrivato a 15 milioni di euro annui.

FONTE LA STAMPA