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La Sepsi uccide oltre 5mln di persone nel mondo, manca un piano nazionale

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(DIRE – Notiziario settimanale Sanita’) Roma, 7 dic. – All’11esimo Forum del Risk Management di Firenze Ron Daniels, il coordinatore del Sepsis Trust inglese lancia un grido d’allarme. Il problema della sepsi non e’ solo delle terapie intensive ma di tutti i settori sanitari. Su tre pazienti ricoverati per sepsi uno muore. Chi esce dall’ospedale ha alte possibilita’ di morire poco dopo o di essere nuovamente ricoverato per infezione entro il primo anno e sviluppare nuovamente una sepsi. Chi sopravvive riporta spesso danni permanenti come raccontato dal toccante film “Starfish”, una produzione inglese distribuita adesso nel Regno Unito in concomitanza di una imponente campagna nazionale di sensibilizzazione. Storia eroica come quelle della nostra Beatrice Vio sopravvissuta ad una sepsi da meningite ed entrata nella storia della scherma italiana para-olimpionica.

“Non possiamo piu’ ignorare il problema”, ha detto Daniels. “E’ un imperativo etico. Dobbiamo attivare percorsi coordinati come per il trauma. La sepsi uccide 5,3 milioni di persone all’anno nel mondo, come il cancro e l’infarto. Ma i servizi sanitari non reagiscono come per altre malattie in cui il tempo impiegato nei soccorsi fa la differenza fra la vita e la morte. La sepsi uccide bambini, donne in gravidanza, anziani ed adulti. Uccide silenziosa e con frequenza crescente. Le vittime sono sotto gli occhi di tutti, adesso e’ il momento di agire: impegnandoci possiamo salvare fino a 14.000 in un anno”.

In una sala gremitissima Daniels racconta la storia di William Mead, un bambino di un anno deceduto nel Natale 2015 a causa di un’infezione non trattata tempestivamente e sfociata in sepsi, una risposta incontrollata dell’organismo dovuta ad un’infezione non piu’ contenibile. Il caso ha portato ad una reazione immediata dell’opinione pubblica. Il ministro della sanita’ Hunt ha dichiarato durante la relazione sul caso in parlamento che il sistema sanitario inglese non e’ in grado oggi di identificare e gestire tempestivamente la sepsi. Da qui la scelta di attivare una massiccia campagna di sensibilizzazione anticipata da Daniels al Forum e che interessera’ tutto il Regno Unito a partire dal prossimo 14 dicembre.

“Sappiamo come trattare la sepsi ma non tutti sanno riconoscerne i sintomi- afferma Shankar Hari di Londra autore insieme a Mervin Singer di autorevoli e ricerche sulla sepsi-. Troppi arrivano in ospedale quando non e’ piu’ possibile intervenire. Nel 60% dei casi le persone affette da sepsi non sono riuscite ad avere cure adeguate o perche’ non erano consapevoli della gravita’ della loro situazione o perche’ gli operatori che hanno contattato non hanno compreso immediatamente il rischio che correvano i pazienti. Tutti gli operatori sanitari di tutti i settori devono essere preparati a riconoscere una sepsi cosi’ come si riconosce e si tratta un infarto. La mancanza di una consapevolezza del problema e di un percorso condiviso fra le discipline sanitarie, ospedale e cure primarie sono criticita’ che hanno portato al fallimento delle azioni in Germania come ha mostrato Daniel Schwarzkopf del gruppo di Konrad Reinhart leader della Global Sepsis Alliance.

La situazione Italiana non e’ affatto migliore. La mortalita’ per sepsi va dal 35% al 60% nei casi di shock settico. Eppure la sepsi ancora non e’ riconosciuta come un’emergenza. Sono sepsi i casi letali di meningite in Toscana e Lombardia. Le morti materne di inizio 2015 in Italia sono state causate infezioni non prontamente riconosciute che una volta divenute sepsi hanno portato via madri e figli all’affetto dei loro cari causando sofferenze e danni incalcolabili per la collettivita’. Servono delle azioni concrete che diano un sostegno alle azioni che le regioni italiane (Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna e Friuli) stanno portando avanti in collaborazione con le principali societa’ scientifiche.

“Non esistono altre strategie che aumentare la sensibilita’ al problema”, conclude Daniels. “Non sappiamo chi potrebbe sviluppare una sepsi ma sappiamo che se lasciamo un paziente con una sospetta infezione fuori dal un percorso sanitario che rilevi i parametri vitali valutando i possibili rischi e attuando azioni diagnostiche e terapeutiche di base- come somministrare fluidi e antibiotici- esponiamo i pazienti ad un grave rischio che cresce ogni ora dell’8%: questo non e’ piu’ giustificabile di fronte ai cittadini”.

La sepsi e’ un problema molto grave, complicato dalle antibiotico resistenze. Un aspetto importante e’ la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria afferma Benedetta Allegranzi dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’: “Si stimano 55 milioni di sepsi all’anno e di queste il 30% ha un’eziologia chirurgia”. Allegranzi espone esperienze di successo che dimostrano come sia possibile prevenire fino al 60% le infezioni del sito chirurgico attraverso network di sorveglianza nazionali ed applicando un approccio basato sui fattori umani fondamentali per l’implementazione delle strategie di prevenzione. Sconfiggere la sepsi e’ possibile ma servono campagne di sensibilizzazione forti ed azioni di sistema che ricevano un impulso dai decisori politici come succede nei servizi sanitari in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ormai chiaro che aspettare non fara’ che aumentare la dimensione del problema.

(Wel/ Dire)