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L’EDTNA/ERCA, da 25 anni riferimento per le competenze specialistiche in Nefrologia

L’EDTNA/ERCA è l’Associazione professionale di riferimento nazionale per gli Infermieri di area nefrologica. L’acronimo sta per “European Dialysis and Transplant Nurses Association/European Renal Care Association”. Rappresenta gli Infermieri e gli altri operatori impegnati nell’assistenza al paziente “nefrologico”, una ambito molto complesso che comprende anche l’aspetto legato alle terapie sostitutive della funzionalità renale – come Dialisi e Trapianto di reni – o cure conservative della funzione renale attraverso dieta e specifici supporti nutrizionali, oppure l’impegno rispetto alle cure palliative.

Un’associazione nazionale nata nel 1991, con intenti e vision multidisciplinare ed infermieristica nella sostanza operativa.

Ne parliamo con la dottoressa Marisa Pegoraro, Presidente Filiale Italiana EDTNA/ERCA

Marisa Pegoraro, Presidente EDTNA/ERCA
Marisa Pegoraro, Presidente EDTNA/ERCA

Presidente, perché avete scelto questa “originale” forma associativa?

EDTNA-ERCA-TIFFAbbiamo voluto mantenere il nome ed il logo dell’associazione europea in primis perché eravamo già europei di nascita; a seguire le motivazione portanti sono quelle di poter utilizzare tutte le conoscenze, esperienze, pubblicazioni e supporti formativi già presenti nel contesto europeo piuttosto che copiare, rifare e/o limitarci ad una visione nazionale delle possibili scelte. Non dimentichiamo che l’infermieristica ha libero mercato nei paesi comunitari dal 1977. La nostra specifica forma amministrativa ha un vantaggio concreto per gli infermieri di area nefrologica italiani che, con una sola quota associativa, sono membri dell’associazione italiana e di quella europea.

Questa condizione associativa come è percepita a livello nazionale dal contesto nefrologico?

Credo che la difficoltà di pronuncia dell’acronimo abbia in parte reso ostica la percezione di appartenenza nazionale, ma noi abbiamo insistito e nel tempo il nome è diventato relativo. Quello che conta sono i programmi che si portano avanti, la capacità di essere presenti nei contesti e nei momenti importanti, la competenza per partecipare in modo attivo/interattivo alle scelte “politiche” della professione (vedi competenze, contratto, percorsi di master) e su questo noi abbiamo sempre cercato di fare del nostro meglio.

Ritiene che le resistenze siano state più forti da parte degli infermieri o da parte delle altre componenti professionali?

Gli infermieri soffrono di carenza di autostima, per cui essere in Europa è stato visto come un di più; poi però “parlavano italiano” e questo ha fatto abbassare le resistenze, seppure la competenza nella lingua inglese sia molto utile. Da parte delle altre professioni farei delle specifiche: con il gruppo dei dietisti nefrologici la collaborazione è stata sempre vivace e positiva. Con il gruppo dei tecnici di dialisi (quelli che si dovrebbero occupare delle apparecchiature) la relazione è stata correlata di alti e bassi, anche in ragione del non riconoscimento specifico di tale figura nell’ambito delle professioni sanitarie e della presenza di contratti di manutenzione da parte delle specifiche aziende. Con altre figure presenti all’estero come gli assistenti sociali, gli psicologi, gli amministrativi direi che per noi non sono ancora delle figure di interlocuzione, vista la realtà socio-sanitaria in cui agiamo.

Con il gruppo dei nefrologi, cioè dei medici specialisti di area, come sono le vostre relazioni?

Il tema è delicato. Gli infermieri e le altre professioni sanitarie, negli ultimi venti anni, hanno definito un percorso di crescita formativo, culturale e di competenze rilevante. Oggi gli infermieri sono in grado di rispondere sempre di più ai nuovi bisogni di assistenza dei cittadini. In ospedale, nel territorio, all’interno dei contesti familiari.

Nonostante ciò, una parte della classe medica italiana si vede ancora come unica portatrice delle istanze di cura della società. La polemica per cui è nato il movimento “noisiamopronti”, dopo i fatti relativi ai protocolli infermieristici del 118 bologneseè un chiaro esempio di questo atteggiamento. Facendo riferimento specifico ai nefrologi italiani direi che ci sono state rilevanti collaborazioni in passato, caratterizzate da un “paternalismo professionale” buono, naturale: i padri fondatori della nefrologia italiana hanno insegnato molto anche agli infermieri. A loro volta gli infermieri sono stati dei validi collaboratori nel rendere i trattamenti dialitici disponibili per tutti, su tutto il territorio nazionale, con bassi tassi di mortalità è morbidità (tra i più bassi al mondo). Oggi come infermieri auspichiamo ad una relazione interprofessionale adulta, fatta di reciproco rispetto e uguale coinvolgimento nelle diverse ma correlate aree di attività clinica (prevenzione, dialisi, trapianto e trattamenti conservativi e palliativi), nella gestione di pazienti sempre più complessi, perché anziani con varie comorbidità, oppure giovani e sempre più stranieri dai diversissimi back-ground culturali.

Per concludere, come definirebbe ad un giovane collega l’attività infermieristica di area nefrologica?

Patient_receiving_dialysis_03-1-autor-Anna-Frodesiak-Own-work-600x400Direi che è un settore molto variegato, in cui le biotecnologie si devono declinare con la psicologia, con il fattore umano capace di disperazione e resilienza, in cui il modus operandi degli infermieri è direttamente correlato con la qualità di vita dei pazienti: più noi siamo appassionati, competenti ed empatici, meglio e più a lungo vivono i nostri pazienti… e questo per me, ancora dopo 30 anni di professione, dà un senso profondo al mio quotidiano, che appare ripetitivo solo agli occhi meno esperti. Per cui al collega direi che se piace l’elemento umano, la continuità assistenziale e le relazioni multidisciplinari, il settore nefrologico è una valida scelta.

Per maggiori informazioni sull’Associazione rimandiamo al sito http://www.edtna-erca.it/ 

Intervista di Pietro Giurdanella

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