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BPCO: la malattia che toglie il respiro

La sensazione è di essere senza fiato e muoversi è sempre più complicato: compiere le semplici azioni quotidiane come fare la spesa o addirittura lavarsi può diventare impossibile. Mancanza del respiro e stanchezza cronica confinano in casa chi ne soffre. A volte, lo spazio occupato si restringe sempre più fino a ridursi alla camera da letto. Stiamo parlando della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), malattia progressiva che si stima riguardi oltre 380 milioni di persone in tutto il mondo, 6 milioni nel nostro paese, rappresentando una delle principali cause di mortalità e invalidità. Infatti, nel mondo, la BPCO provoca ogni anni 3 milioni di vittime, 22mila nel nostro Paese e secondo l’allarme dell’Oms nel 2030 la BPCO sarà la terza causa di morte nel mondo.

Il principale fattore di rischio è il fumo e i sintomi sono così aspecifici (dispnea, tosse cronica e espettorato cronico) che spesso può passare inosservata, tanto che la diagnosi arriva in genere tardiva. Di BPCO non si parla mai abbastanza. La malattia è stata una delle protagoniste del «Respiration Day», la conferenza internazionale dedicata alle malattie respiratorie e organizzata dall’Università di Parma patrocinato dalla Fondazione Chiesi, dal titolo «Breakthroughs in basic and clinical research in chronic respiratory disease»che ha visto la partecipazione di oltre 700 esperti da tutto il mondo.

EVITARE LE RIACUTIZZAZIONI
«La BPCO è una patologia respiratoria caratterizzata da un’infiammazione delle vie aeree, cui conseguono cambiamenti strutturali che causano ostruzione e difficoltà a respirare», spiega Leonardo M. Fabbri, già Professore di Medicina Interna e Respiratoria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.

«Il quadro clinico di un paziente affetto da BPCO può peggiorare repentinamente a causa dell’insorgenza di episodi acuti, detti riacutizzazioni: uno “step verso il basso” delle condizioni di salute, a seguito del quale la ripresa dai sintomi e il recupero della funzionalità respiratoria sono via via più lenti e difficili, a volte impossibili». Fondamentale è quindi evitare, prevenendole, le riacutizzazioni.

UN PAZIENTE COMPLESSO
Ma la BPCO non viene mai da sola e si accompagna spesso ad altre malattie: «Pertanto, il malato di BPCO è un paziente piuttosto complesso che richiede un costante monitoraggio ed eventuale trattamento non solo delle condizioni respiratorie. Una diagnosi di BPCO dovrebbe mettere in allerta il clinico, perché spesso è un segnale di allarme per altre condizioni croniche, che devono essere trattate adeguatamente».

LA RICERCA CONTINUA
Tra gli obiettivi principali della ricerca vi è quello di rallentare e modificare il decorso della BPCO. «Anche il declino della funzionalità può essere ridotto e in alcuni casi recuperato combinando la riabilitazione polmonare e il trattamento ottimale con un broncodilatatore» ha detto Jörgen Vestbo, Professore di Medicina Respiratoria presso l’Università di Manchester (Regno Unito), durante la sua presentazione.

 

UN NUOVO FARMACO: FORMULAZIONE EXTRAFINE
Una novità dal punto di vista terapeutico è rappresentata dalla terapia tripla a dose fissa (sviluppata da Chiesi, i risultati sono apparsi su Lancet) che consente di alleviare e prevenire i sintomi della BPCO come la mancanza di respiro, dispnea e tosse e ridurre le riacutizzazioni. Inoltre, è la prima combinazione di tre principi attivi in un unico inalatore.

Si tratta di un antinfiammatorio corticosteroide per via inalatoria (ICS), un broncodilatatore β2 agonista a lunga durata d’azione (LABA) e di un broncodilatatore antagonista del recettore muscarinico a lunga durata d’azione (LAMA). Avere un unico inalatore consentirà una maggior aderenza alla terapia, che per la BPCO rimane un grosso problema (la metà dei pazienti si cura meno di 6 mesi l’anno e il 70% degli under 14 dopo un anno non prende più farmaci).

Ma un’importante novità riguarda anche la sua formulazione extrafine. Le particelle del farmaco, infatti, avranno le dimensioni di pochi micron, più piccole anche delle polveri sottili, e questo ne permetterà la penetrazione nelle parti più profonde del polmone. Una semplice inalazione garantisce che i principi attivi arrivino fino alle piccole vie aeree, mentre l’eccipiente inerte (il lattosio) rimane nel cavo orale per una questione aereodinamica.

Fonte La Stampa