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“Siblings – Essere fratelli di ragazzi con disabilita”

siblings-essere-fratelli-di-ragazzi-con-disabilita-recensione-del-nuovo-libro-di-alessia-farinellaPresentato a Torino il volume “Siblings – Essere fratelli di ragazzi con disabilita’” curato dalla docente ed educatrice Alessia Farinella: “Spesso e’ dall’atteggiamento dei genitori che dipende l’evolvere del rapporto con un fratello disabile e l”attitudine a prendersene cura anche da adulti” (RED.SOC.)

TORINO – Da ragazzi imparano presto quando farsi da parte, spesso costretti a crescere prima dei coetanei. E di loro, per lo meno in Italia, non si parla quanto si dovrebbe: perche’ se e’ innegabile che il tema della disabilita’ ha ormai conquistato piena cittadinanza nel dibattito nazionale, e’ altrettanto vero che i fratelli delle persone disabili rimangono in gran parte avvolti da un cono d’ombra. E’ a loro che Alessia Farinella – dottore di ricerca in Pedagogia e docente a contratto all’Universita’ di Torino, oltre che educatrice con dieci anni d’esperienza presso i servizi territoriali cittadini – ha voluto dedicare un’indagine, realizzata incrociando i risultati di alcuni dei principali studi scientifici sul tema con una serie di testimonianze dirette: ne e’ nato “Siblings – Essere fratelli di ragazzi con disabilita’”, un volume uscito per Erickson nel marzo del 2015, che al lettore restituisce le ansie e le difficolta’ piu’ comuni, ma anche le risorse che piu’ spesso vengono messe in campo nel rapporto con un fratello o con una sorella disabile.

Nel libro, Farinella – che ieri sera ha incontrato il pubblico torinese al Circolo dei Lettori di via Giambattista Bogino – individua tre fasi cruciali che caratterizzerebbero l’evolversi della relazione con un fratello disabile; e che in fondo coincidono con i tre momenti principali nella crescita di ogni essere umano. “La prima di queste fasi – spiega l’autrice – e’ senz’altro rappresentata dall’infanzia: se vissuto con la dovuta serenita’, questo e’ il periodo in cui il bambino impara a rapportarsi alla ”diversita”’ del fratello, e cio’ accade perche’, paradossalmente, tale diversita’ non e’ quasi percepita. L’attivita’ dei bimbi a quell’eta’ e’ rappresentata quasi esclusivamente dal gioco: e poco importa se il fratello con cui quelle esperienze vengono condivise non puo’ camminare, parlare o correre”. La presa di coscienza, secondo Farinella, arrivera’ gradualmente a partire dalla scuola dell’obbligo, “quando – spiega – le richieste cognitive nei confronti dei bambini aumentano”.

“Si tratta del momento in cui viene richiesto loro di imparare a leggere, a scrivere, a studiare” spiega. “Nel caso dei figli minori, puo’ succedere ad esempio che si rendano conto di stare superando i propri fratelli disabili nello sviluppo di alcune abilita’ cognitive, percependo cosi’ una sorta di inversione di ruoli. Questo puo’ dar vita a meccanismi di sovra-compensazione, dal momento che spesso questi ragazzi sviluppano la convinzione, in gran parte inconscia, di dover sempre e comunque eccellere, di non dover creare ulteriori problemi ai genitori”. L’altra grande questione che tende a emergere in questo periodo e’ il rapporto con i pari; rapporto che diverra” poi centrale nell’adolescenza, la seconda delle fasi cruciali individuata dall’autrice. “Questo – continua Farinella – e’ il periodo in cui un ragazzo tende a uscire di casa, a emanciparsi dal rapporto con i genitori attraverso il confronto con i coetanei: e spesso saranno proprio questi ultimi a far percepire, in un modo o nell”altro, la disabilita’ di fratelli e sorelle come un problema, un fattore di disagio.

Cio’ puo’ portare a una forma molto dolorosa di isolamento: isolamento che puo’ essere agito nei confronti dei famigliari, e rifugiandosi dunque nel gruppo; o, viceversa, rinnegando i coetanei e relazionandosi in maniera quasi esclusiva con la famiglia”. “Si tratta, in ogni caso, di una fase transitoria – chiarisce Farinella – che ciascuno, a suo modo, riesce a superare; recuperando cosi” quanto c’e’ di positivo in un’esperienza che, oltre a numerose difficolta”, puo’ portare con se’ anche una maggiore solidita’ caratteriale, una piu’ pronunciata capacita’ di prendersi cura dell’altro. Capacita’, quest”ultima, che secondo l’autrice diviene sempre piu’ centrale man mano che il rapporto con un fratello o una sorella disabile muove verso l’eta’ adulta. “Arrivate a questo punto – spiega l’autrice – queste persone si trovano spesso a una biforcazione: la questione e’ se e quanto farsi carico del proprio fratello: e molto, in questo senso, dipendera’ dall”attitudine avuta fino a quel momento dai genitori”.

“Paradossalmente – continua – i piu’ inclini a prendersene cura sono proprio coloro che dai genitori non sono stati eccessivamente gravati di responsabilita’. Si tratta di casi in cui, generalmente, essere partecipi del futuro del proprio fratello o sorella non e’ percepito come un peso: e cio’ succede soprattutto quando si ha ben chiaro di non dovergli sacrificare per intero la propria vita. In altre parole, molto dipendera” da quanto queste persone saranno state ”caricate” nel corso della vita. Il problema della gestione della disabilita’ non si presenta da un giorno all’altro: se nel tempo la famiglia sara’ stata capace di affrontare i problemi che di volta in volta si saranno presentati, se ci sara” stato un vissuto familiare condiviso, allora e’ piu’ probabile che il rapporto tra fratelli prosegua anche nel corso dell’eta’ adulta. In caso contrario, l’eta’ adulta diviene in momento in cui le difficolta” che non si sono sapute affrontare tendono a esplodere”. “In questo senso – conclude Farinella – la prospettiva pedagogica contraddice un assunto molto comune, che nella nascita di un figlio disabile vede sempre e comunque un elemento di disgregazione per la famiglia. Si tratta piuttosto di una sorta di test per il nucleo familiare: se quest”ultimo e” solido, capace di stringersi di fronte alle difficolta”, allora potrebbe uscirne perfino rafforzato”. (ams) (www.redattoresociale.it)

 

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