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Occhio secco, così il disturbo compromette la vita. Intervenire con tempismo per migliorare

Una malattia cronica, che richiede un approccio di cura ad ampio spettro, ma soprattutto a lungo termine: ecco come la comunità scientifica considera oggi la problematica dell’occhio secco, in netta controtendenza rispetto all’opinione comunemente diffusa, che tende a sottovalutarla.

«La sindrome dell’occhio secco è una condizione molto comune che aumenta con l’età, soprattutto nelle donne – esordisce Maurizio Rolando, direttore del Centro superficie oculare IsPre Oftalmica di Genova. -. Si stima infatti che fra il 12 e il 16 per cento della popolazione generale presenti i sintomi del disturbo, senza però riconoscerlo come condizione patologica e di conseguenza senza adottare terapie mirate. La diagnosi tempestiva è invece il presupposto per una corretta gestione del problema».

I sintomi del disturbo
I sintomi della sindrome da occhio secco – accentuati anche dall’utilizzo duraturo di pc, tablet e smartphone – includono dolore agli occhi, secchezza, arrossamento, lacrimazione eccessiva, disagio causato da lenti a contatto, irritazione da vento o fumo, occhi stanchi, sensazione di corpo estraneo nell’occhio, visione offuscata e fotofobia.

«L’occhio secco può influire sulla capacità di lettura e di guida, limitando quindi notevolmente la vita quotidiana di chi ne soffre – prosegue l’esperto -. Senza contare il fatto che la somma di questi disturbi può, in alcuni casi, anche portare allo sviluppo di ansia e depressione: un quadro generale che denota senza dubbio la presenza di una condizione malattia cronica».

Un attento ascolto dei sintomi riferiti dal paziente è il primo step per un approccio globale alla sindrome dell’occhio secco. Al fine di quantificare l’entità di tali sintomi e valutare in seguito l’efficacia della terapia su di essi, è utile servirsi di appositi questionari di autovalutazione che il paziente può facilmente compilare.

Oltre a questo, va effettuata un’accurata anamnesi che indaghi sull’andamento e sulla variabilità dei sintomi, su fattori scatenanti quali condizioni ambientali sfavorevoli, presenza di malattie autoimmuni, alterazioni ormonali, assunzione di particolari farmaci, interventi chirurgici oculari pregressi, solo per citare alcuni esempi.

«La malattia dell’occhio secco può essere difficile da diagnosticare perché i sintomi variano e spesso si sovrappongono con altri disturbi oculari – afferma Pasquale Aragona, direttore della clinica oculistica e del centro di riferimento regionale per le malattie della superficie oculare dell’Università di Messina -. Per questa ragione, anche lo specialista può essere portato a sottostimarne la severità e, se non tempestivamente individuata e correttamente trattata, la patologia può avere ripercussioni significative sulla vita delle persone».

Le cause della sindrome da occhio secco
Gli elementi che determinano l’occhio secco sono molteplici: dall’invecchiamento, fino ai fattori ambientali (si pensi all’inquinamento o al trascorrere molto tempo davanti a uno schermo) e alla condizione fisica generale del soggetto (per esempio i cambiamenti ormonali e l’assunzione di determinati farmaci come quelli anti-acne, alcuni beta-bloccanti o i contraccettivi orali).

Una volta accertata da parte dell’oculista la malattia dell’occhio secco, la terapia deve basarsi sull’utilizzo regolare, nell’arco del giorno, di sostituti lacrimali ad ampio spettro e accompagnata da un’accurata igiene della palpebra.

«Occorre accertarsi che il sostituto lacrimale utilizzato sia privo di conservanti, perché durante la giornata la parte di acqua evapora lasciando quest’ultimo a contatto con l’occhio a concentrazioni crescenti», aggiunge Rolando, tra gli estensori delle prime raccomandazioni nazionali sulla sindrome dell’occhio secco. I conservanti, come per esempio il benzalconio cloruro che viene spesso utilizzato nella preparazione dei colliri, comportano un certo rischio di tossicità, dato che possono infiammare e provocare danni alla superficie oculare. «Stiamo parlando di una malattia cronica per la quale ancora non esiste una cura definitiva – chiosa Aragona -. Un motivo in più per procedere in direzione di una diagnosi precoce e verso una gestione appropriata del paziente per migliorare la qualità della sua vista e della sua vita».

Fonte La Stampa