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Tumore dell’ipofisi: nuove frontiere per la malattia che colpisce 30 persone ogni centomila

Migliorare la cura dei pazienti passa anche attraverso l’adozione di criteri condivisi per i centri che si occupano del trattamento. È in questo modo che potranno essere garantite le cure migliori ai pazienti colpiti da un tumore dell’ipofisi, pari a circa il dieci per cento di tutte le neoplasie intracraniche: con una incidenza di circa trenta casi ogni centomila persone, quasi sempre di età compresa tra i 30 e i 60 anni.

Nonostante definire gli obiettivi di questo tipo di chirurgia sia relativamente semplice, almeno sulla carta, definire i criteri di eccellenza individuale risulta più complesso: faranno la differenza le ore di pratica dedicate al trattamento delle malattie dell’ipofisi, che per ragioni epidemiologiche sono in alcuni casi estremamente limitate. Questo perché, in assenza di un adeguato numero di procedure l’anno, il rischio è una diminuzione della performance.

I tumori ipofisari

L’ipofisi, anche chiamata ghiandola pituitaria, è situata alla base del cranio. Pur avendo le dimensioni di una nocciolina, il suo ruolo è determinante: in quanto collegata direttamente con l’ipotalamo che comanda la produzione di numerosi e importanti ormoni.

Gli adenomi ipofisari vengono classificati, in base alla dimensioni, in microadenomi (diametro inferiore a dieci millimetri) e macroadenomi. La valutazione tiene conto anche del tipo di ormone prodotto: perciò esistono adenomi che producono prolattina (prolattinomi), adenomi che producono ormone della crescita e adenomi che non producono alcun ormone (circa 3 su 10).

Infine, i più rari producono corticotropina, tireotropina o gonadotropine. Gli adenomi ipofisari sono considerati rari, sebbene diversi studi negli anni abbiano dimostrato come, nel corso di esami radiografici del cervello effettuati per altre ragioni, in più casi rispetto a quelli previsti si riscontrano piccoli adenomi ipofisari. Un riscontro che fa supporre che la malattia sia molto più comune del previsto, ma a crescita talmente lenta da non dare disturbi anche per lunghi periodi.

Le opzioni terapeutiche

Negli ultimi anni si è riscontrato un aumento dei tumori ipofisari, che ha reso necessario un approccio più organico è strutturato alla diagnosi e al trattamento. Per procedere, è necessario che il team di specialista sia composto da endocrinologi, neurochirurghi esperti, neuroradiologi, neuropatologi e radioterapisti. Soltanto in questo modo, è quanto emerso dal confronto tra gli esperti in occasione del congresso di endocrinologia e metabolismo (Cuem) appena concluso al San Raffaele, è possibile definire il piano di trattamento più adatto tra farmaci, chirurgia o radioterapia.

L’approccio chirurgico ha lo scopo di rimuovere la massa tumorale tentando di preservare il tessuto ipofisario e le strutture adiacenti, eliminare l’ipersecrezione ormonale e i suoi effetti, prevenire le recidive e riconoscere eventuali complicanze. Non si deve comunque dimenticare la terapia medica, che prevede l’utilizzo di farmaci che inibiscono il rilascio degli ormoni sopra citati.

Chirurghi esperti con almeno 500 interventi alle spalle

La soglia di «affidabilità» per i chirurghi dell’ipofisi è identificata, secondo vari studi pubblicati a livello internazionale, in più di cinquecento casi trattati durante la carriera: con almeno cento interventi all’anno.

«In Italia abbiamo la necessità di individuare centri specializzati per la cura dei tumori ipofisari per dare le migliori cure ai pazienti e assicurare ottimizzazione delle risorse – prosegue Giustina -. Il fatto che si tratti di patologie relativamente frequenti o francamente rare non deve far abbassare la guardia, anzi proprio la scarsa frequenza pone il gap di un basso numero di interventi e quindi la necessità di formare super specialisti».

Fonte La Stampa