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Bologna–Watford (Londra). Esperienze a confronto

Bologna–Watford (Londra). Esperienze a confronto

Bologna–Watford (Londra). Esperienze a confronto
| lunedì 24 Agosto 2015

di Elsa Locatelli (1).

Dopo tre anni di studio intenso, esami , tirocini formativi molto impegnativi, ero arrivata ad un traguardo importante: l’attesissima laurea che mi avrebbe finalmente aperto le porte del lavoro come infermiera. Ricordo ancora la stesura del primo curriculum vitae, la corsa all’iscrizione all’Albo professionale del Collegio IPASVI della Provincia di Bologna, l’attesa di risposte positive alle mie domande di lavoro, inizialmente in strutture private e o convenzionate, l’attesa davanti alla casella di posta elettronica. Era Gennaio 2014 ormai e non avevo ricevuto nessuna conferma, nessun feedback positivo che mi introducesse nel mondo del lavoro infermieristico. La situazione era paralizzata. Probabilmente avrei potuto attendere un po’ di più, pazientare, ma io necessitavo di lavorare, volevo entrare nel mio ruolo di infermiera al più presto, per costruire mattone dopo mattone la mia esperienza lavorativa e la mia carriera.

Un giorno, navigando su facebook, triste e arrabbiata per la continua assenza di posta in arrivo, nella mia casella postale, e di chiamate che mi confermassero un impiego, mi imbattei in un post in cui si cercavano infermieri per strutture pubbliche ospedaliere nel Regno Unito. Lessi l’articolo dove si parlava di questa città a nord di Londra, Watford, in cui vi era questo ospedale, il Watford General Hospital, che cercava “overseas nurses” ( infermieri oltre-mare) per mezzo di una agenzia di reclutamento.

L’ospedale offriva un contratto a tempo indeterminato, $ 1000 per il primo mese ed unico limite: rimanere almeno fino ad un anno dal proprio arrivo. Nel caso ci si fosse licenziati prima di un anno bisognava restituire le 1000 sterline che ci erano state fornite all’inizio del contratto. Avevo bisogno di un lavoro e valeva la pena provare a mandare il mio curriculum vitae tradotto in inglese. Pensavo che non mi avrebbero mai chiamata, nella mia mente era un altro feedback negativo alla mia domanda di impiego. Mandai tutti i miei dati, indirizzo e-mail e contatto telefonico a questa agenzia di reclutamento, Medacs, che faceva da tramite tra gli overseas nurses e il Watford General Hospital.

WATFORD GENERAL GV
(nella foto il Watford General Hospital)

Mandare il mio curriculum vitae nel Regno Unito era quasi un gioco, un passatempo in quanto mai durante gli anni di Università avevo pensato di trasferirmi all’estero per lavoro. Questo gioco diventò presto realtà e il giorno dopo mi chiamarono telefonicamente. Mi fecero una sorta interview telefonica preliminare in inglese per testare il mio livello linguistico.

Mi fecero domande di base, come per esempio il mio percorso di studi, i miei tirocini, le mie preferenze rispetto alle unità operative ospedaliere dove avevo svolto il tirocinio durante il percorso degli studi, la mia volontà a vivere e lavorare in Inghilterra. Non richiedevano un livello di conoscenza della lingua in inglese eccellente, in quanto sapevano che una volta sbarcati a Watford avremmo incominciato ad apprenderla velocemente e al meglio. Finita la chiamata mi dissero che mi avrebbero inviato per e-mail tutta la documentazione e le date del colloquio vero e proprio. Quest’ultimo si sarebbe tenuto a Milano, all’Hilton Hotel due settimane dopo. Non potevo crederci, nel giro di poco tempo avrei fatto il mio primo colloquio di lavoro e per giunta in inglese. Non mi rendevo conto di tutti gli eventi che stavano per accadere.

Ovviamente sapevo che nel caso di risposta affermativa sarei dovuta partire, cambiare vita, cambiare paese, lingua e modalità lavorativa. Ma la cosa non mi preoccupava. Non ero spaventata, avevo solo tanta voglia di lavorare e tanta voglia di fare un’ esperienza che mi avrebbe formata per il resto della mia vita. Il giorno dell’interview arrivò prestissimo, prima della “prova orale” vi era un test diviso in due sezioni: la prima era la parte matematica, in cui venivano richieste le proporzioni per il dosaggio dei farmaci; la seconda parte si basava sull’analisi di un caso clinico, il quale sarebbe stato discusso nella seconda parte del colloquio. Terminata la prima sezione mi mandarono a svolgere la seconda ed ultima parte del colloquio.

Vi erano una caposala di un reparto del Watford General Hospital, il Cath lab (laboratorio di emodinamica) ed una Junior Sister (figura infermieristica simile alla nostra case-manager). Mi fecero domande riguardo alla responsabilità infermieristica, al rapporto tra infermiere ed health care assistance ( il nostro OSS), sull’assistenza personalizzata ed infine la discussione del caso clinico. Ero emozionatissima, ma riuscii ad apparire rilassata e professionale durante l’interview.

Al termine del colloquio mi strinsero entrambe la mano e mi dissero: “ Well, See you in UK”(“Bene, ci vediamo in Uk”). Ringraziai, uscii dalla stanza. Riattraversai tutti i momenti del colloquio nella mia mente e solo dopo realizzai che avevo scavalcato il primo piccolo “ostacolo”; avevo superato il colloquio e nel giro di poco avrei intrapreso una nuova vita. Il giorno dopo mi chiesero via e-mail tutta la documentazione necessaria per lavorare in Inghilterra. Essa comprendeva le varie copie certificate, autenticate e tradotte in inglese: del mio passaporto di identità, certificato di residenza, certificato di nascita, casellario giudiziario, certificato di iscrizione all’Albo del Collegio IPASVI, diploma di laurea e tre referenze da parte di figure infermieristiche che mi avevano seguito nel corso degli studi per il conseguimento della laurea.

Qui iniziò la parte complessa in quanto vi erano numerosi documenti da fare autenticare dal Comune e alcuni dal tribunale. I giorni precedenti alla mia imminente partenza li passai tra uffici e questure per il completamento della parte burocratica. Sapevo che ne sarebbe valsa la pena. Inoltre era necessario e indispensabile, per potere lavorare come infermiera in Inghilterra, l’iscrizione all’NMC (Nursing and Midwifery Council), il Collegio degli infermieri ed ostetriche in UK.

L’NMC è un organo molto forte e predominante nel contesto infermieristico inglese, e prima di potere esercitare la professione devi attendere di essere iscritta. Oltre a mandare tutti i documenti al Watford General Hospital tramite la Medacs, dovevo mandarli all’NMC che li avrebbe minuziosamente controllati e verificati in tempi non brevi. Conclusi il tutto e una volta approvata la burocrazia da parte dell’ospedale partii. L’NMC me li avrebbe approvati due mesi dopo dalla mia partenza.

NMC

Una volta arrivata in Inghilterra, assieme alle mie nuove colleghe italiane, l’ospedale ci forniva un appartamento per un mese, pagato con il denaro fornitoci all’inizio, in questo modo avevamo il tempo per cercare una sistemazione definitiva ed ambientarci. Per inserirci nel nuovo contesto si incominciò con due settimane di induction (orientamento).

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Erano lezioni con personale infermieristico dell’ospedale nelle quali si apprendevano le procedure infermieristiche secondo le procedure inglesi, le policy (linee guida) dell’ospedale, la burocrazia e il funzionamento della struttura ospedaliera secondo gli standard inglesi. Furono due settimane molto intense ed altamente formative, in quanto il tutto era molto distante dal modello italiano.

Perciò, per potersi introdurre al meglio era fondamentale l’adattamento delle nostre competenze di base con le nuove. Finite le settimane di induction ci vennero assegnate le sedi dove avremmo esercitato la nostra professione, io andai in endocrinologia e incominciai con un mese di affiancamento in cui si era supernumery. Questo mese era atto ad inserirci nella nuova routine e attendere l’ufficiale iscrizione all’NMC, caratterizzata dall’assegnazione di un pin number, che ci avrebbe permesso di svolgere legalmente la professione. Si lavorava da infermieri ma si era affiancati, perciò per ogni cosa era necessaria la doppia firma e il double check (doppio controllo).

Da subito incominciai a notare le numerose differenze con l’Italia. In primis i turni sono di 12 ore (ovviamente diventano sempre 13-14 ore in quanto la giornata di reparto non sai mai come può evolversi) e questo si verifica, in media,tre volte a settimana, ma spesso anche quattro. Non vi è una turnazione come in Italia in quanto è possibile lavorare più notti di fila o giorni mischiati alle notti, perciò puoi avere tre notti di fila e un Long Day ( Giornata lavorativa dalle 7 a.m. alle 8 p.m.) ad esempio. Sono turni che all’inizio spaventano, ma posso assicurare che si impara ad apprezzarli in quanto permettono una buona continuità assistenziale e permettono di conoscere il paziente al meglio, perciò di garantire una migliore assistenza personalizzata.

I reparti, nel mio caso parlerò del mio (Heronsgate Ward), sono divisi in bays e siderooms (settori e stanze di isolamento). Ad ogni infermiere viene affidata un bay che è formato da sei pazienti, oppure un bay ed una sideroom, quindi 7 pazienti.

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Sicuramente si assiste un numero inferiore di pazienti rispetto all’Italia, ma l’assistenza è più globale, in quanto tutti i sei-sette pazienti sono completamente sotto la tua gestione. L’infermiere, affiancato, quando non si è short of staff (sotto personale), dall’ health care assistance (OSS) si occupa interamente e globalmente della gestione infermieristica del paziente: assistenza di base, medicazioni al mattino, medicazioni di ferite, lesioni cutanee da decubito, bendaggi, medicazioni intravenose, visita medica, dimissione del paziente, ammissioni, planning dell’assistenza infermieristica, rapporto con i familiari e con i medici. Il lavoro diventa molto pesante perché ti fai carico di tutti gli aspetti del paziente.

Questo ti rende davvero parte integrante nel processo di guarigione del paziente in quanto tu ne diventi porta voce. Non dico che in Italia non vi sia l’assistenza globale al paziente, ma vi è più divisione dei compiti e settorializzazione. Altra aspetto che si differenzia dall’Italia è la documentazione infermieristica. In inghilterra esistono numerosissimi paper works: essi sono dei care plans per ogni aspetto infermieristico che caratterizza il paziente. Tra questi vi è quello per il riposizionamento del paziente per la prevenzione delle lesioni cutane da decubito, il care plan inerente l’accesso venoso, il catetere vescicale,il sondino naso-gastrigo la peg, continance care plan and stool chart ( minzione e defecazione), food chart alimentazione) ecc.

L’infermiere perciò, oltre ad assistere il paziente, deve compilare ad ogni turno tale documentazione per ognuno dei suoi assistiti. Inizialmente lo trovavo limitante, in quanto era difficile trovare tempo per compilare tale documentazione, ma poi ho imparato ad utilizzare al meglio il mio tempo, inserire tali papers work nella routine della giornata lavorativa. Ora senza di essi sarei persa, perché ti danno una guida e ti aiutano a focalizzarti sugli aspetti prioritari dell’assistenza al paziente. Essi svolgono una funzione guida, che ti permette di non tralasciare nulla del paziente. Altro aspetto chiave che differenzia l’Inghilterra dall’Italia è la possibilità di sviluppo di carriera.

Io attualmente sono una Band 5, ossia staff nurse (infermiera). Il mio reparto mi sta già proponendo la possibilità nel giro di un anno di garantirmi corsi e tutorati per diventare mentore, ossia una sorta di tutor clinico al quale vengono affiancati gli studenti di infermieristica. Dovrei seguire delle lezioni universitarie non a pagamento ed essere affiancata da una mentore del mio reparto.

Questo è il primo grande passo per poi evolversi in Band 6. Quest’ ultima chiamata anche Junior sister è una figura molto simile alla nostra case-manager. Nel sistema infermieristico inglese essa è una importante figura che garantisce l’organizzazione e la continuità assistenziale ed un corretto e bilanciato team work del reparto. Ovviamente per divenire Band 6 è necessario essere mentori e avere solide esperienze nel campo assistenziale, inoltre è indispensabile un’ ottima padronanza della lingua inglese in quanto si ha a che fare con molta burocrazia e numerosissime policy, ma con tanto impegno e lavoro è possibile diventarlo. Dopo la Band 6 nel sistema britannico vi è la Band 7, definita anche Senior Sister; quest’ultima è la nostra caposala, che svolge le stesse funzioni organizzative e burocratiche come in Italia. Infine, ultimo step della gerarchia ospedaliera vi è la Band 8, chiamata Matron.

Essa è una importante figura organizzativa che copre più reparti e svolge principalmente una funzione di coordinamento. La caratteristica inglese è la flessibilità. In Italia, pur non lavorando ho sempre notato una forte staticità del lavoro. Quando si ottiene un ruolo, che sia infermiera, case manager o caposala si tende a fossilizzarsi in quello, non tanto per volontà della persona, ma per le possibilità offerte dalle varie strutture ospedaliere. In Inghilterra vi è la possibilità e lo stimolo a cambiare, a sperimentare e ad evolversi.

Aspetto invece simile, se non identico all’Italia è il rapporto professionale-lavorativo tra l’infermiere e l’health care assistance. Questo ultimo è il nostro operatore-socio-sanitario che nel sistema inglese appartiene alla categoria Band 4. Esso è addetto alle cure di base del paziente e collabora con l’infermiere nella gestione dell’assistenza personalizzata e globale alla persona. Il rapporto è pari a quello italiano, ossia l’infermiere è responsabile dell’operato del HCA ( health care assistance). Come nel contesto italiano l’infermiera delega all’Oss ed è totalmente responsabile dell’operato di questo ultimo.

Spesso mi chiedono quando tornerò in Italia. La risposta non è facile, in quanto sono molto ambiziosa in questo momento della mia vita; questo mi porta a volere dare una svolta alla mia carriera e non tornare in Italia senza avere fatto passi avanti qui nel Regno Unito. Non voglio incitare gli infermieri italiani, disoccupati o non ad “arruolarsi” qui in Uk, in quanto siamo noi che dobbiamo fare rinascere l’Italia e se espatriamo tutti di certo non diamo speranza al nostro Paese. Voglio solo portare una testimonianza di quello che sto facendo, una esperienza che mi ha aperto le porte del lavoro e mi sta altamente formando. Tutto questo mi porta ad avere una mente più aperta, in quanto ho la possibilità di sperimentare realtà diverse. Tutto ciò è un bagaglio culturale che potrebbe, in futuro, tornarmi molto utile nel contesto italiano.

Autore: Elsa Locatelli, Staff Nurse, band 5, Reparto di Heronsgate ward (Endocrinologia e diabetologia) del Watford General Hospital (Londra).

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