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A 12 anni drogati di cibo, alcol e cannabis. In Italia oltre 2 mln di baby dipendenti

A 12 anni drogati di cibo, alcol e cannabis. In Italia oltre 2 mln di baby dipendenti

A 12 anni drogati di cibo, alcol e cannabis. In Italia oltre 2 mln di baby dipendenti
| sabato 6 Agosto 2016

Baby dipendenti da tutto: droga, alcol e anche da cibo, con il «binge eating», le grandi abbuffate compulsive fatte a tempo di record. Sommando i dati di studi e statistiche sono ben 2 milioni gli adolescenti italiani dai 12 ai 19 anni che si fanno di sostanze ed alcolici o che soffrono di disturbi alimentari. E chi il problema lo affronta sul campo, nei pronto soccorso o nei centri di neuropsichiatria infantile, denuncia che l’età si sta pericolosamente abbassando, con ragazzini di appena 12 anni, a volte anche meno, che accusano disturbi del comportamento causati da qualche forma di dipendenza.

Partiamo dai numeri. Il 26% degli studenti tra 15 e 19 anni fa uso di cannabis, un quarto di loro quasi quotidianamente e con un trend in costante crescita, rivela uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa condotto in oltre 400 istituti scolastici. Il 4% ha ammesso di aver provato almeno una volta la cocaina, mentre il 2,3% manda giù di tutto, erbe e pasticche, senza sapere cosa siano.

E non è che con l’alcol le cose vadano meglio. L’Istat rileva che già ad 11 anni oltre il 5% ha alzato il gomito e a 15 anni la percentuale è del 41% per i maschietti, del 33 per la ragazzine. A soli 13 anni un adolescente su cento sperimenta lo stordimento da binge drinking, la bevuta compulsiva di 6 o 7 shottini nel giro di un’ora. E a 14 anni i casi sono già raddoppiati. Sono invece 600 mila gli adolescenti in trattamento per dipendenza da cibo.

Un quadro impressionante, con fenomeni di dipendenza che riguardano oramai più bambini che veri adolescenti. A raccontare questa fuga nello stordimento dei nostri giovanissimi e i perché di un disagio montante sono gli operatori sanitari e scolastici che il dramma lo vivono sul campo.

Lauro Quadrana, dirige la psicodiagnostica del day hospital psichiatrico per adolescenti del Policlinico Umberto I a Roma, un centro di riferimento nazionale per i giovanissimi con disturbi del comportamento. «Ne arrivano sempre più anche della fascia tra i 12 e i 14 anni, spesso afflitti da ansia e depressione. Dopo un po’ – racconta – si aprono e confidano di fare abuso di sostanze. Cannabis innanzitutto, ma anche droghe sintetiche, funghi allucinogeni, ultimamente eroina fumata e cocaina». Con una dipendenza da cocktail micidiali di cannabis, cocaina e ketamina è arrivata così con gravi disturbi depressivi una ragazzina di 14 anni, che l’impatto con la droga l’ha avuto ancora prima, nell’età in cui si gioca con le bambole.

«A volte – spiega Quadrana- ci sono fattori genetici ereditari, ma spesso dietro questa ricerca dello stordimento c’è una voglia di autodistruzione generata da una sensazione di abbandono: non merito l’attenzione degli altri, la famiglia, la scuola e allora mi rifugio in un mondo anestetizzato». Insomma, dietro c’è l’inadeguatezza di famiglie e scuola, dove non di rado questi ragazzini hanno difficoltà di apprendimento. Troppo spesso scambiata per svogliatezza.

Non è andata così in una scuola media dell’hinterland milanese. Anna, il nome dell’insegnante è di fantasia perché la privacy è d’obbligo, si accorge che qualcosa non va in un suo alunno di soli 11 anni. «Veniva in classe sempre con gli occhiali da sole e quando li ha tolti ho capito perché. Poi la psicologa scolastica attraverso le testimonianze dei suoi compagni ha ricostruito una storia di abuso di cannabis che partiva dalla quinta elementare».

Poco più grandi, ma mica tanto, gli adolescenti che finiscono in coma etilico nei pronto soccorso. «Arrivano sempre più numerosi con intossicazioni acute da alcol anche a soli 13-14 anni», racconta Maria Pia Ruggieri, presidente del Simeu la società scientifica della medicina d’emergenza-urgenza. «Tanti dobbiamo trasferirli in rianimazione per coma etilico. Rischiano la vita senza saperlo ma dietro c’è un disagio più profondo perché spesso scopriamo che oltre all’alcol fanno uso di sostanze». E le famiglie? «Quando arrivano a riprenderli non credono siano i loro figli». Che stentano a conoscere oltre che a riconoscere.

FONTE LA STAMPA

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