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Rene policistico: mappate le mutazioni genetiche che lo causano

Rene policistico: mappate le mutazioni genetiche che lo causano

Rene policistico: mappate le mutazioni genetiche che lo causano
| martedì 13 Settembre 2016

Attraverso il sequenziamento del DNA di oltre 400 persone affette da rene policistico in tutta Italia, i ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo San Donato – hanno costruito per la prima volta una mappa che mette in relazione il tipo di mutazione genetica all’aggressività e alla precocità della malattia.

È ormai noto che il rene policistico è dovuto alla presenza di mutazioni nei geni PKD1 o PKD2, tuttavia non tutte le mutazioni sono uguali: a seconda del tipo di mutazione, le istruzioni contenute nel gene possono essere più o meno compromesse e le proteine prodotte seguendo queste istruzioni risultano più o meno disfunzionali. Questo fa sì che il rene policistico sia una malattia molto eterogenea, che si presenta a diverse età e che peggiora con velocità differenti. Ecco perché il lavoro appena pubblicato su Scientific Reports e coordinato da Paola Carrera, genetista molecolare e parte del gruppo di ricerca di Maurizio Ferrari, direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare Clinica del San Raffaele, è così importante: perché costituisce un database di informazioni che permetterà di riconoscere meglio le varianti della malattia dal tipo di mutazione, migliorando i test genetici e offrendo terapie personalizzate.

Foto tratta dal sito www.mayoclinic.org
Foto tratta dal sito www.mayoclinic.org

Il rene policistico è una delle malattie genetiche più comuni ed è la prima causa genetica di insufficienza renale al mondo. Soltanto in Italia ne soffrono oltre 60.000 persone. Recentemente è stato approvato il primo farmaco specifico per questa patologia, che andrà a sostituire i farmaci fino ad oggi utilizzati per contenere il dolore cronico associato. Al momento niente arresta però il progressivo peggioramento della condizione che può portare a insufficienza renale, dialisi e trapianto dell’organo. Di fronte a una malattia al contempo così diffusa e dal meccanismo molecolare così complesso, la ricerca è l’unica via percorribile.
“Il nostro lavoro getta le basi per comprendere meglio la malattia, migliorare i test genetici e indirizzare i pazienti verso strategie di prevenzione e di terapia più efficaci”, spiega Paola Carrera. Delle 701 mutazioni dei geni PKD1 e PKD2 che lo studio pubblicato associa alla malattia, solo 249 erano già note: 452 sono mutazioni osservate per la prima volta e che i ricercatori hanno classificato in base al grado di patogenicità. L’obiettivo finale è costruire dei test genetici che non si limitino a dare una risposta binaria – sì/no – sul futuro esordio della malattia, ma siano in grado, sulla base del tipo di mutazione genetica riscontrata nel singolo paziente, di fornire indicazioni più dettagliate sull’età d’esordio, l’aggressività della malattia e la capacità di rispondere a determinati trattamenti.
Il contributo del meticoloso lavoro di mappatura coordinato da Paola Carrera è ancor più significativo se inserito nel contesto più ampio dell’impegno nel campo della ricerca e della cura che l’Ospedale San Raffaele, i suoi ricercatori e i suoi medici hanno messo in campo contro questa malattia diffusa e invalidante. L’Ospedale ha potenziato il test genetico dotandosi delle ultime tecnologie di sequenziamento genetico massivo, il cosiddetto next generation sequencing, che è in grado di sequenziare pannelli di oltre 5000 geni, tra cui tutti i geni coinvolti nelle malattie renali. Attualmente è l’unico centro in Italia ad avere la certificazione europea per il Rene Policistico, che ne prova l’aderenza ai più alti standard di qualità.

L’Ospedale San Raffaele ha anche attivato un ambulatorio dedicato al rene policistico, in un contesto multidisciplinare. In parallelo al miglioramento dei test genetici e alla personalizzazione delle terapie già disponibili, il San Raffaele sta lavorando a un trial clinico che avrà l’obiettivo di testare la sicurezza di una molecola modificata di zucchero per il trattamento della malattia. Scoperta dal gruppo di ricerca di Alessandra Boletta, direttrice della Divisione di Genetica e Biologia Cellulare dell’Istituto, la molecola, chiamata 2DG, viene scambiata dalle cellule delle cisti per una normale molecola di zucchero ma una volta processata è capace di rallentarne il metabolismo, frenando il progresso della malattia nel modello animale.

Conclude la dottoressa Boletta: “La ricerca per il miglioramento della diagnosi genetica e per lo sviluppo di terapie innovative, messa direttamente in contatto con le cure cliniche nel nuovo ambulatorio dedicato, fanno del nostro ospedale il punto di riferimento nazionale per il trattamento di questa malattia”.
Questo lavoro è stato possibile anche grazie ai finanziamenti del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Un particolare ringraziamento ai pazienti, alle loro famiglie e alla collaborazione dell’Associazione Italiana Rene Policistico (AIRP, www.renepolicistico.it).

 

 

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