È una patologia invalidante, spesso sottovalutata, che mina seriamente la qualita’ di vita dei pazienti. Non si hanno ancora dati certi sulla Sindrome da fatica cronica in Italia, ma secondo gli esperti l’incidenza dovrebbe aggirarsi intorno ai 500mila/1 milione di casi di persone affette.
Ieri si è celebrata la Giornata mondiale dedicata a questa patologia. “Di recente- spiega il professor Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori, Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN)- con MyGenomics abbiamo messo a punto un test genetico che valuta la suscettibilita’ genetica di sviluppare una stanchezza cronica ed eventualmente una sindrome da fatica cronica. Dai dati preliminari emerge che puo’ esserci anche un incremento del rischio familiare della patologia o comunque della suscettibilita’ a svilupparla”. Purtroppo, pero’, per ora non c’e’ nessun farmaco in grado di sconfiggerla definitivamente. “Spesso i pazienti possono trarre dei benefici- spiega l’esperto- da interventi farmacologici con antivirali, corticosteroidei, immunomodulatori e integratori e da modifiche dello stile di vita. In questo modo e’ possibile portare alla guarigione o comunque a miglioramenti significativi dei sintomi. Da qualche tempo stiamo utilizzando anche l’ossigeno-ozonoterapia, con risultati sorprendentemente positivi. Il trattamento comporta un miglioramento delle attivita’ cognitive e della memoria, della fatigue/stanchezza, del microcircolo cerebrale, un aumento dell”attenzione e una diminuzione del dolore”. Intanto nel dicembre 1994, un gruppo internazionale di studio sulla sindrome ha pubblicato sugli ”Annals of Internal Medicine” una nuova definizione di caso che rimpiazzava quella precedente
Spiega ancora Tirelli: “Un caso di sindrome da fatica cronica e’ definito dalla presenza di fatica cronica persistente per almeno sei mesi, non alleviata dal riposo e che si aggrava con piccoli sforzi. Questo deve provocare una sostanziale riduzione dei livelli precedenti delle attivita’ occupazionali, sociali o personali. Inoltre, devono essere presenti per almeno sei mesi quattro o piu’ dei seguenti sintomi: disturbi della memoria e della concentrazione cosi’ severi da ridurre sostanzialmente i livelli precedenti delle attivita’ occupazionali e personali; faringite; dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari; dolori muscolari e delle articolazioni senza infiammazione o rigonfiamento delle stesse; cefalea di un tipo diverso da quella eventualmente presente in passato; un sonno non ristoratore; debolezza post esercizio fisico che perdura per almeno 24 ore”. Ovviamente, fa sapere ancora l”esperto, devono essere escluse “tutte le condizioni mediche che possono giustificare i sintomi del paziente, quali infezioni croniche, ipotiroidismo, disfunzioni dell”ipofisi, epatite B o C, tumori, depressione maggiore, schizofrenia, demenza, abuso di sostanze alcoliche ed obesita’. Spesso i pazienti hanno una sintomatologia tipica di un”influenza cronica- conclude Tirelli- che dura per anni”. (Cds/Dire)