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Un infermiere “britaliano” al servizio di Sua Maesta’ la Regina

Un infermiere “britaliano” al servizio di Sua Maesta’ la Regina

Un infermiere “britaliano” al servizio di Sua Maesta’ la Regina
| sabato 20 Febbraio 2016

Esiste un posto dove assumono tanti infermieri, cosi’ tanti che l’offerta non copre la domanda. Dove per lavorare in un ospedale pubblico non serve superare un concorsone con diecimila candidati, ma basta un colloquio con alcuni dirigenti del posto in cui si andra’ a lavorare. Dove non si timbra il cartellino per entrare o uscire e se ci si ammala basta telefonare, sapendo che si deve andare dal medico per avere il certificato solo dopo una settimana e che comunque sara’ improbabile che arrivi una visita fiscale.

Dove lo stipendio aumenta automaticamente ogni anno, gli straordinari sono ben pagati e si possono coprire turni extra anche in altri ospedali.

Questo posto esiste, ma ovviamente non e’ in Italia. E’ l’Inghilterra, il nuovo Eldorado degli infermieri italiani, ormai presenti in piu’ di 2.500 secondo le statistiche ufficiali, molti di piu’ in realta’.

Io sono uno dei tanti che e’ partito. Non piu’ giovanissimo (ho 37 anni), ho seguito l’ondata e tentato la carta inglese invece della lotteria dei concorsi pubblici in cui tutto e’ cambiato rispetto a dieci anni fa e non si sa se e quando si riuscira’ ad entrare in graduatoria e ad essere chiamati.

Io invece avevo il desiderio ed il bisogno di realizzarmi professionalmente. E subito. Ma pareva fossi uno scarto in Italia, nonostante la mia laurea con lode. Poche chiamate e di durata incerta. Invece – chissa’ come – ero perfetto per il piu’ importante ospedale oculistico al mondo, il Moorfields Eye Hospital di Londra. Nonostante il  mio inglese, ancora incerto all’epoca. Certo oggi sarebbe stato tutto piu’ difficile, visto che bisogna superare con un buon punteggio il test IELTS. Ma ho letto che alcuni ospedali stanno addirittura organizzando corsi per aiutare ad ottenere questa certificazione. Quindi, forse, ce l’avrei fatta lo stesso.

Moorfields Eye Hospital, Autore: Nigel Cox
Moorfields Eye Hospital. Foto di: Nigel Cox

L’arrivo a Londra ha visto i miei timori iniziali presto fugati. Sistemazione in residenza, tessera per il trasporto pubblico (la famosa Oyster Card), tre settimane dedicate alla formazione. Tutto organizzato e pagato per il primo mese dall’ospedale. Mi sembrava fantascienza. Come a me, cosi’ anche ai tanti colleghi italiani e spagnoli assunti con me.

Si dice: la prima impressione conta. E’ vero. Vivo e lavoro da un anno nello stesso reparto dello stesso ospedale. Non tutto e’ filato liscio, ma non potevo pretenderlo. Il sistema sanitario pubblico inglese – il celebre NHS – su cui quello italiano e’ stato plasmato, soffre piu’ o meno degli stessi mali: tagli alle spese, criticita’ organizzative, ambienti di lavoro a volte inadeguati, rapporto tra medici ed infermieri non sempre idilliaco, atteggiamento aggressivo di mass media e pazienti nei confronti dei casi di malasanita’, burocrazia – strano ma vero -capace talvolta di farti dannare per la sua rigidita’.

Ogni ospedale e’ comunque un caso a se’ e l’organizzazione, quindi il benessere sul posto di lavoro, puo’ cambiare sensibilmente. Io sto vivendo un’esperienza tutto sommato positiva e comunque si respira in generale aria di speranza, di fiducia nel fatto che collaborando si possano superare problemi e correggere gli errori.

Dirigenti medici ed infermieristici dialogano ogni giorno. Questa speranza pervade me e molti degli italiani. Ci sprona a dare il meglio di noi stessi e ad essere apprezzati per le nostre capacita’, che specie sul piano tecnico sono a mio parere superiori alla media di altre nazioni. Basti pensare che qui occorrono training specifici, dopo aver conseguito l’abilitazione, per eseguire prelievi ematici ed incannulare!

In Inghilterra la specializzazione professionale e’ spinta all’estremo secondo un modello simile a quello medico. Un modello che a mio parere si dovrebbe perseguire anche in Italia, passando dall’infermiere generalista all’infermiere con competenze specialistiche avanzate.

E l’inglese? Quello migliora con la pratica quotidiana. Io ne faccio tanta, con persone di ogni parte del mondo, specie nel quartiere in cui lavoro, che ha una popolazione marcatamente multietnica. Per giunta lavoro in un Day Care, ovvero in un servizio che si concentra prevalentemente sul day surgery ed eroga prestazioni altamente specialistiche come le iniezioni intravitreali (che qui vengono eseguite dagli infermieri!). Spesso quindi assisto 20-30 pazienti in un turno di lavoro. Superati i primi mesi in cui spesso si rimane a bocca aperta o si collezionano anche “figure barbine”, in breve tempo si capisce e ci si fa capire in misura accettabile.

L’italiano, in questo, e’ piuttosto in gamba. Pur partendo mediamente da un livello di preparazione linguistica inferiore a quello di popoli che studiano su testi in inglese, si adatta presto – come solo lui sa fare – e sa comprendere e farsi comprendere in breve piu’ di tanti altri. Non si creda, infatti, che il solo fatto di vivere a Londra implichi la conoscenza della lingua! Tanti stranieri parlano male l’inglese od il loro accento risulta veramente arduo da interpretare…

Gli Italiani, in ogni caso, godono in partenza di notevole stima, in virtu’ soprattutto di una cultura e di una storia che i Britannici adorano, tanto che molti di loro, da noi, ci sono venuti a vivere.

Londra e l’Inghilterra non sanno solo farti sentire un professionista rispettato, ma sanno ripagarti anche fuori dall’ospedale con uno stile di vita tranquillo ed a misura d’uomo anche nelle grandi citta’, dove si va veloci, ma non di fretta. La capitale poi e’ cosi’ zeppa di italiani che spesso non ci si rende conto di essere a migliaia di chilometri dall’Italia e la malinconia e la solitudine dell’emigrante vengono addolcite da un “Buongiorno!” od un espresso che ti illudono di essere, tutto sommato, per qualche minuto, a casa.

E’ ai tanti colleghi che gia’ lavorano stabilmente qui ed a tutti quelli che stanno arrivando che ho deciso di dar voce raccontando e condividendo le nostre esperienze su un blog che ho appena inaugurato e che ho intitolato – parafrasando la famosa frase del Riccardo III di Shakespeare “il mio Regno per un cavallo” – Il mio Regno per un infermiere.
Che letto in altro modo si puo’ anche intendere come il Regno (Unito) dal mio punto di vista. Quello di un infermiere, appunto. Che spera che qui in Inghilterra almeno gli infermieri italiani tornino ad essere coesi e solidali, a collaborare per migliorare il sistema sanitario locale e a dimostrare la loro eccellenza.

 

donofrioLuigi D’Onofrio
Registered Staff Nurse
Moorfields Eye Hospital

Contatti: Pagina Google+

Blog Il mio Regno per un Infermiere

 

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