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Come gestire la disfagia nei pazienti colpiti da ictus cerebrale

Come gestire la disfagia nei pazienti colpiti da ictus cerebrale

Come gestire la disfagia nei pazienti colpiti da ictus cerebrale
| mercoledì 2 Agosto 2017

L’atto viene ripetuto da ogni uomo oltre mille volte al giorno: a testimonianza di quanto sia fisiologico mangiare, bere e ingoiare la saliva. Ma per i pazienti che hanno avuto un ictus cerebrale, anche un gesto di routine può diventare più complesso di quanto non lo sia nella norma. Il problema riguarda nella media poco più della metà delle vittime di ictus: che in Italia sono duecentomila, ogni anno.

Le difficoltà si manifestano di solito entro i primi tre giorni dall’evento, con vari livelli di gravità: dalla occasionale difficoltà a deglutire soltanto alcuni tipi di cibo alla totale impossibilità di alimentarsi arrivando nei casi più gravi all’impossibilità di gestire la propria saliva. I rischi non sono soltanto legati alla disidratazione e alla malnutrizione. L’insidia maggiore è rappresentata dalla polmonite ab ingestis: un’infezione che si sviluppa per l’ingresso nell’albero bronchiale di materiale infetto (cibo, muchi nasali).

DISFAGIA: MEGLIO INDIVIDUARLA SUBITO
Individuare la disfagia in un paziente colpito da un ictus è dunque il primo passo da compiere. Molteplici saranno i vantaggi: ridotta incidenza di complicanze mediche, miglior recupero riabilitativo, tempi di ricovero più brevi. Lo screening per diagnosticarla dovrebbe essere effettuato su tutti i pazienti colpiti da ictus prima di iniziare ad alimentarli oralmente.

Il controllo dovrebbe essere iniziato non appena il paziente riprende a essere vigile e consapevole in seguito all’ictus. «Il recupero della deglutizione dopo un ictus dipende dalla sua gravità – dichiara Nicoletta Reale, presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus, federazione di venti associazioni di volontariato che si occupano di fare sensibilizzazione e corretta informazione sulle problematiche dei pazienti colpiti da ictus cerebrale -. È necessaria una gestione multidisciplinare tra medici, paziente e familiari che devono essere informati sulla gestione corretta della posizione, sulla giusta preparazione dei pasti e su come mantenere una corretta igiene orale».

I CONSIGLI PER LA DIETA
La dieta va disegnata su misura, per questi pazienti. Alle persone disfagiche, si suggerisce di escludere cibi difficili da masticare o a doppia consistenza (una minestra o uno yogurt con pezzettini di frutta). Ma generalmente la difficoltà principale è la deglutizione dei liquidi, che scivolano in gola a causa dell’incapacità di innescare la corretta deglutizione che normalmente avviene in modo automatico.

Ma occorre fare attenzione anche alle minestrine, i cui ingredienti hanno una diversa consistenza: così il brodo scivola in gola e la pastina non viene spinta giù dalla lingua, ristagnando nella bocca. «La disfagia espone i pazienti al rischio di malnutrizione e denutrizione – dichiara Anna Demagistris, responsabile della struttura semplice di dietetica e nutrizione clinica dell’azienda ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino -. Nei casi più gravi, in cui si verifica un’impossibilità totale all’alimentazione, si ricorre all’alimentazione artificiale attraverso una piccola sonda posizionata nel naso o sull’addome, per somministrare alimenti e acqua direttamente nello stomaco. La scelta può essere provvisoria o definitiva. Ma fortunatamente i casi più gravi riguardano una quota compresa tra il dieci e il venti per cento del totale e tendono comunque a migliorare dopo un paio di mesi di riabilitazione con il logopedista».

COME COMPORTARSI A TAVOLA?
Per evitare che il cibo vada di traverso, gli esperti consigliano di mangiare sempre seduti comodamente, con il capo piegato verso il petto favorendo così la discesa del cibo nello stomaco. E poi: non introdurre in bocca un boccone di cibo o un sorso di bevanda fino a quando non si è completamente deglutito il precedente né parlare mentre si mangia.

Le bevande liquide vanno consumate lontano dai pasti, durante i quali è invece più opportuno bere acqua addensata fino a raggiungere la consistenza di una crema o di un budino. La consistenza ideale del cibo è quella semisolida: via libera dunque a purè, frullati e omogeneizzati. È essenziale al figura di chi è affianco al paziente, che può evitare l’insorgenza di situazioni di potenziale pericolo: come mangiare troppo velocemente o con la tv accesa, due scelte che accrescono il rischio di complicanze.

Fonte La Stampa

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