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Ansiolitici: funzionano, ma si rischia la dipendenza

Ansiolitici: funzionano, ma si rischia la dipendenza

Ansiolitici: funzionano, ma si rischia la dipendenza
| venerdì 27 Gennaio 2017

hands-1903104_960_720Pur essendo tra i rimedi più efficaci e tempestivi nel mettere un freno all’ansia, i farmaci ansiolitici come le benzodiazepine andrebbero letteralmente utilizzati con il «contagocce», in virtù del rischio di assuefazione e di dipendenza a cui si va incontro se si eccede anche di poco la prescrizione del medico. Ma troppo spesso le buone raccomandazioni finiscono per cadere nel vuoto. Lo dimostrano i dati dell’ultimo Rapporto OsMed sull’uso dei farmaci in Italia, che pongono in cima alla classifica dei farmaci di classe C più venduti nel nostro Paese proprio le benzodiazepine come alprazolam e lorazepam – meglio noti con il nome commerciale di Xanax e Tavor – con importanti picchi di utilizzo nelle regioni Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta.

Combattono il sintomo  

In commercio da ormai mezzo secolo, questi farmaci agiscono su un particolare recettore neuronale – il GABA – con l’effetto di innescare un’azione inibitoria su tutto il sistema nervoso e mettere un freno a quel forte senso di turbamento riconducibile all’ansia.

Tuttavia questi farmaci non intervengono alla radice del problema e, una volta terminata la loro azione, l’ansia tende a riaffacciarsi di nuovo.

«Le benzodiazepine agiscono sui meccanismi che stanno alla base dei sintomi d’ansia e hanno un’azione rapida e aspecifica su qualunque forma di ansia» sottolinea Bernardo Carpiniello, professore ordinario di psichiatria all’Università di Cagliari e presidente eletto della Società Italiana di Psichiatria, in carica dal prossimo aprile.  «Tuttavia – prosegue il professore – una volta sospeso il farmaco, può succedere che i sintomi d’ansia ricompaiano a distanza di tempo più o meno breve. Anche per questo, le benzodiazepine andrebbero prescritte nei casi di necessità immediata contro gli stati d’ansia, limitandone l’utilizzo a pochissime settimane, per poi eventualmente proseguire la cura con antidepressivi dall’effetto ansiolitico», spiega il professore.

Dipendenza simile all’alcol  

Uno dei principali rischi legati all’uso di questi farmaci è come detto l’assuefazione: il percorso ha solitamente inizio con il progressivo aumento del dosaggio da parte dei pazienti per ottenere lo stesso effetto ansiolitico, e termina con una vera e propria dipendenza da cui è poi difficile uscire. «Le benzodiazepine sono gli unici psicofarmaci a cui è riconosciuto l’effetto di indurre astinenza, che è molto simile a quella causata dall’alcol o dalle droghe» sottolinea Bernardo Carpiniello. La soluzione, in questi casi, passa attraverso un percorso terapeutico in cui vengono ridotte in modo molto graduale le dosi di ansiolitico, con l’eventuale ricorso a molecole simili a quelle utilizzate nei casi di dipendenza da alcol o da oppiacei.

«In generale più alte sono le dosi di benzodiazepine e maggiore è il tempo di dipendenza, più lungo sarà il tempo necessario a diminuire le dosi di farmaco, che può richiedere anche un tempo di un anno o più per essere interrotto del tutto» spiega Carpiniello.

 

I rischi negli anziani  

Gli anziani sono la categoria di pazienti che più fa uso di benzodiazepine, anche se alcuni effetti collaterali di questi farmaci possono rappresentare un rischio per le persone in età avanzata. Le benzodiazepine possono infatti interferire con i processi della memoria e hanno un importante effetto rilassante sulla muscolatura: ciò può contribuire al peggioramento di eventuali disturbi cognitivi negli anziani e accrescere il rischio di cadute e conseguenti fratture.

È inoltre ancora aperto il dibattito relativo all’uso di benzodiazepine e al rischio di Alzheimer: una ricerca apparsa sul British Medical Journal nel 2014 ha evidenziato un importante aumento del rischio di malattia di Alzheimer negli anziani che facevano ricorso a benzodiazepine per un tempo superiore a tre mesi, mentre ulteriori studi clinici hanno evidenziato che questo rischio potrebbe essere legato ai sintomi che portano alla prescrizione di benzodiazepine, non alle benzodiazepine stesse. «Si tratta di una questione ancora aperta, che dovrebbe comunque spingere a limitare l’utilizzo di benzodiazepine negli anziani» sottolinea Bernardo Carpiniello.

Fonte: STEFANO MASSARELLI – La Stampa.it

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