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Autismo, Clelia, la “dottoressa” che cura con i sorrisi

Autismo, Clelia, la “dottoressa” che cura con i sorrisi

Autismo, Clelia, la “dottoressa” che cura con i sorrisi
| sabato 7 Gennaio 2017

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Quando entra in corsia, non è più Clelia: per i pazienti che sa far sorridere, lei si chiama “dottoressa in blu”. Da poche settimane Clelia Fuga ha ricevuto il camice: quando lo indossa, è a tutti gli effetti una clown in corsia. E il suo autismo, che seppur lieve le provoca una certa difficoltà nel relazionarsi con gli altri e comunicare, quasi scompare, quando veste i panni della dottoressa in blu. In blu, sì, perché questo è il colore con cui, per convenzione, viene rappresentato il mondo dell’autismo.

E di questo mondo Clelia fa parte, pure con un certo orgoglio. Clelia si racconta nel numero di gennaio del magazine Superabile Inail. “Il mio autismo non è riuscito a ostacolare il mio sogno di diventare ‘dottor clown’ – racconta -. Un anno fa ho seguito il corso a Mirano, in provincia di Venezia, poi il tirocinio e oggi eccomi qui: il 3 ottobre il colloquio finale, sei giorni dopo la consegna del camice”. Un camice da dottore, anche se lei non cura le malattie e non dà medicine: allevia la tristezza e la paura, distribuendo sorrisi e allegria.

Oggi Clelia ha 23 anni: ne aveva quattro, quando le è stata diagnosticata una forma di autismo. Poco dopo, racconta, “ho iniziato varie terapie come logopedia, psicomotricità, musicoterapia e ippoterapia. Ho fatto terapia fino a 17 anni, in vari posti. L’ultimo anno, all’istituto Bosisio Parini di Como. Oggi, non faccio più terapia, ma uso medicinali che mi tengono calma e serena. Prima di prenderli ero molto nervosa”.
Grazie alle cure e alle varie attività che la tengono impegnata, Clelia è decisamente migliorata: “Ho difficoltà a relazionarmi con gli altri, ma non con tutti – dice -. Ho pochi amici, ma riesco a comunicare abbastanza bene, un po’ con la scrittura facilitata, un po’ verbalmente. Ma so quali sono i miei limiti: devo smettere di arrabbiarmi per niente e devo accettare gli scherzi, anche se a volte non riesco proprio a capirli e a sopportarli”.

501948Ma gli scherzi buoni, quelli che fanno ridere, Clelia con il tempo ha imparato perfino ad apprezzarli. È accaduto in ospedale, durante un brutto periodo. Frequentava le scuole medie e “sono finita all’ospedale per una crisi di panico. Sono stata lì dentro per dieci giorni. Venivano i dottori clown a farci sorridere e da quel momento mi sono decisa ad aiutare il prossimo più bisognoso e meno fortunato di me”. Dopo aver fatto qualche esperienza come animatrice nei centri estivi e in corsia, Clelia ha così deciso di “diventare per sempre un dottor clown” e nel 2015 ha iniziato a frequentare il corso: cinque incontri, poi tre mesi di tirocinio e l’esame finale, per diventare clown a vita.
“Lunedì 3 ottobre alle 17 ho iniziato il colloquio finale, insieme a mia mamma. Appena ha saputo che ero stata promossa, mi ha abbracciato, si è messa a piangere e mi ha detto che era orgogliosa di me”. Per ora Clelia svolge il suo servizio ogni venerdì dalle 19 alle 21 e “alcuni giorni vado con i miei colleghi dottori clown anche in casa di riposo dagli anziani e li faccio divertire, facendoli rivivere i loro giorni da giovani e spensierati ragazzi di un tempo e cantando le loro canzoni d’epoca”. Il suo “titolo” Clelia lo dedica ai ragazzi autistici come lei: “Voglio aiutarli a essere sereni e a non vergognarsi di essere autistici, ma a vivere il loro autismo in modo sereno e gioioso. Ci saranno momenti tristi, ma ci saranno sempre i genitori ad aiutarci nei nostri percorsi. E quando i nostri genitori non ci saranno, noi ragazzi dovremo andare avanti da soli e ricordare i nostri genitori con il cuore”.
Ed è proprio la mamma di Clelia ad averla affiancata e accompagnata in questo importante percorso: “Abbiamo fatto questa scelta insieme, perché volevo condividere anche con lei un’esperienza, visto che con la sorella condivido il volontariato alla Croce verde. Ora, quando indossa il camice e il vestito da clown, Clelia diventa un’altra persona: si apre al mondo, ride, scherza e si fa toccare dai bambini, che si aggrappano a lei come Linus alla sua coperta. Insomma, con il camice Clelia è nel mondo, per il mondo e con il mondo dei cosiddetti normali. Quando ha ricevuto l’attestato, ho pianto di gioia: tanti anni di lavoro, di viaggi della speranza, tra dottori, ospedali, terapie hanno dato finalmente i loro frutti. La dottoressa in blu rappresenta anche la speranza per chi è ricoverato, perché dimostra che tutto si può superare. Per Clelia tutto questo è importantissimo, dà senso ai suoi giorni: lei, che ha iniziato a parlare a sei anni, prima male e poi sempre meglio. Non si lasciava toccare, non potevamo accendere le luci e la tv bisognava tenerla senza volume. E poi ha paura dei palloncini: se li vede si tappa le orecchie e urla. Ecco, è incredibile, ma con il naso rosso e il vestito da clown lei trasforma i palloncini in tutti gli animali possibili”.

Ora la dottoressa in blu intende “andare nei vari ospedali d’Italia a portare gioia, sorrisi e tanta allegria a chi soffre – assicura infine Clelia -. Mi impegnerò molto a dare una mano e andare dove c’è più urgenza di portare sorrisi nei momenti di difficoltà. Di sicuro dedicherò molto tempo a questo impegno, perché è una cosa che sognavo da tanto e finalmente si è realizzata”.
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