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Eliminare alcol dalla dieta: così si riduce il rischio di cancro alla mammella

Eliminare alcol dalla dieta: così si riduce il rischio di cancro alla mammella

Eliminare alcol dalla dieta: così si riduce il rischio di cancro alla mammella
| mercoledì 24 Maggio 2017

No categorico al fumo. Una forte raccomandazione a svolgere attività fisica e a mantenere nei limiti il peso corporeo. E massima prudenza al cospetto di qualsiasi bevanda alcolica, se anche un solo bicchiere di vino consumato a cadenza quotidiana aumenta la probabilità di sviluppare un tumore al seno.

Non ci sono giri di parole nel report pubblicato dall’American Institute for Cancer Research (Aicr) e dal World Cancer Research Fund (Wcrf). Le due organizzazioni, dopo aver passato in rassegna 119 studi, comprensivi dei dati riguardanti oltre dodici milioni di donne e duecentosessantamila diagnosi di tumore della mammella, hanno concluso che «l’eliminazione dell’alcol dalla dieta è uno dei primi passi che ogni donna può compiere per ridurre il rischio di ammalarsi di tumore al seno». Consumando in media dieci grammi di etanolo ogni giorno, quantitativo pari a quello che si annida in una bottiglia di birra o in un calice di vino, la probabilità di ammalarsi può crescere di una quota compresa tra il cinque e il nove per cento: a seconda che la donna sia in età fertile o in menopausa.

Alcol e cancro: meglio non bere
Nel commentare i risultati, i ricercatori statunitensi sono partiti dall’alcol , quasi a voler rimarcare il suo potenziale cancerogeno: troppo spesso sottovalutato. Il loro messaggio, per gli addetti ai lavori, non è una novità e risulta già da tre anni inserito nei dodici consigli che compongono il Codice Europeo contro il Cancro.

Non risulta stupito dunque Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, che da anni sollecita la massima informazione nei confronti delle donne. «Lo stupore può essere soltanto figlio della scarsa cultura che porta a non considerare gli effetti negativi dell’alcol sul nostro organismo alla pari di quelli indotti dal fumo di sigaretta. Un errore commesso non soltanto da molte persone, ma anche indotto dai medici, più frequentemente i cardiologi e spesso alcuni nutrizionisti, che affermano che un bicchiere al giorno fa bene al cuore e che bere moderatamente non fa male. In questo modo si ignora la sentenza della Corte di Giustizia che ha specificato che non si possono vantare proprietà salutistiche di una sostanza tossica come qualsiasi bevanda alcolica.

Le maggiori linee guida internazionali hanno ridotto a dieci grammi per le donne e venti per gli uomini la quantità di alcol consumabile ogni giorno. Ma va sempre considerato che, superati i dieci grammi, si incrementa il rischio di morbilità, mortalità e disabilità di oltre duecento malattie e di 14 tipi di cancro, tra cui quello della mammella nelle donne.

Occorre sempre tenere a mente che quando si consuma alcol, questo (etanolo, ndr) e il suo metabolita acetaldeide agiscono come tutti i cancerogeni del gruppo 1». Dunque l’alcol andrebbe evitato. «Una campagna di sensibilizzazione dovrebbe essere rivolta in tal senso in particolare alle ragazze, in funzione del binge drinking – continua Scafato -. Il rischio attuale è già molto alto e preclude all’insorgenza di lesioni al seno che hanno un elevatissima probabilità di trasformarsi in cancro, nel caso della persistente stimolazione estrogenica indotta dal bere».

 

L’attività fisica funziona meglio di un farmaco
A ciò andrebbero aggiunti altri elementi: partendo dal rispetto di un programma costante di attività fisica, che sottende al mantenimento di un peso corporeo adeguato. Come dice lo stesso titolo («Dieta, nutrizione, attività fisica e tumore al seno» , il dossier ha puntato a sintetizzare le conclusioni che pongono in relazione lo stile di vita con il rischio di ammalarsi della più diffusa neoplasia femminile.

È così emerso che la pratica fisica intensa, come quella che si sostiene con la corsa o col ciclismo, riduce sensibilmente il rischio di ammalarsi: con riduzioni che raggiungono il 17 per cento nelle donne in età fertile (valori inferiori si rilevano con attività più blande). La stessa aiuta a mantenere nel range di normalità il peso corporeo, che se eccessivo (sovrappeso o obesità) aumenta il rischio di ammalarsi nelle donne già in menopausa: le più esposte alla malattia.

Sempre valido rimane inoltre il consiglio di prediligere l’allattamento al seno: considerato un altro fattore protettivo nei confronti della malattia. Tutti consigli che, se messi in pratica, permetterebbero di evitare una diagnosi su tre: questa la stima riportata nella pubblicazione.

A fare la differenza è la qualità complessiva della dieta
Quanto alla dieta, le conclusioni dei ricercatori statunitensi confermano l’assoluta difficoltà di trarre conclusioni univoche per gli alimenti. Non ne esistono di buoni e cattivi, in assoluto. Sono infatti considerate insufficienti le prove secondo cui una dieta ricca di calcio e carotenoidi riduca le probabilità di ammalarsi.

Così come è ancora presto per dire che il consumo di verdure non amidacee – spinaci, cavoli, verdure a foglia verde, cipolle, cetrioli, funghi, cavolfiori, peperoni, broccoli, cavolini di Bruxelles e asparagi – sia un antidoto efficace contro la comparsa del tumore al seno che non presenta i ricettori per gli estrogeni: una forma meno diffusa, ma più difficile da trattare. Detto ciò, una buona qualità complessiva della dieta può fare la differenza.

«Quattro nuove diagnosi di cancro su dieci sono evitabili rinunciando al fumo di sigaretta e seguendo un’alimentazione mediterranea – dichiara Fortunato Ciardiello, direttore del dipartimento medico-chirurgico di internistica clinica e sperimentale dell’Università Luigi Vanvitelli di Napoli e presidente della Società Europea di Oncologia Medica -. Dire che un bicchiere di vino sia cancerogeno, lo ritengo fuorviante. Ma è evidente che, quanto ai consumi di alcolici, oggi l’emergenza riguarda i più giovani. A loro bisogna spiegare tutti i rischi insiti in questa abitudine, che da qui a qualche decennio potrebbe far emergere anche in Italia problematiche di salute che finora non hanno fatto parte della nostra cultura».

Fonte La Stampa

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