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Ipertensione, il 50% dei pazienti sospende la cura dopo un anno

Ipertensione, il 50% dei pazienti sospende la cura dopo un anno

Ipertensione, il 50% dei pazienti sospende la cura dopo un anno
| sabato 17 Giugno 2017

hypertension-867855_960_720ROMA –  L’ipertensione arteriosa è un problema che interessa un adulto europeo su tre, e il numero degli ipertesi è destinato a crescere a causa dell’invecchiamento generale della popolazione. Anche se, almeno nelle fasi iniziali, non può essere considerata una vera malattia, l’ipertensione è il più frequente e principale fattore di rischio per le patologie cardiovascolari che rappresentano la prima causa di morte in tutto il vecchio continente.

I medici hanno a disposizione farmaci efficaci e ben tollerati, ma purtroppo circa il 50% dei pazienti sospende la cura dopo un anno dalla prescrizione, rinunciando di fatto a un controllo appropriato e continuo della pressione. Sono questi alcuni dei dati che emergono dal 27esimo Congresso della Società Europea dell’Ipertensione (Esh) che si apre oggi a Milano e che vede la partecipazione di oltre 3.000 specialisti provenienti da 34 Paesi.

“L’ipertensione arteriosa è la causa prima di mortalità in tutto il mondo– spiega il presidente della Esh Enrico Agabiti Rosei– ed è il fattore di rischio più importante e come causa di eventi fatali e non fatali ha superato altri fattori di rischio, come il fumo di tabacco e l’inquinamento atmosferico”. Oltre a questo, Rosei spiega come questa patologia spesso sia sottovalutata dai pazienti e, talvolta, “anche dai medici”. Questo probabilmente perché a detta del numero uno di Esh “l’inizio del trattamento viene effettuato di solito quando ancora non sono presenti sintomi, e questo è uno dei possibili motivi della scarsa aderenza alla terapia. Inoltre- continua Agabiti Rosei- molti pazienti ritengono erroneamente che una volta normalizzata la pressione si possa sospendere la cura”.

Il presidente di ESH fa sapere come in Europa si spendano ogni anno “circa 200 miliardi per il trattamento delle malattie cardiovascolari che in gran parte sono correlate all’ipertensione, e tutto questo sta avvenendo nonostante i grandi successi che sono stati ottenuti grazie alla ricerca medico-scientifica”.

In Italia sappiamo quando vengono presi i medicinali contro l’ipertensione perché il farmacista deve registrare il farmaco che fornisce al paziente dietro prescrizione medica. Dai dati amministrativi della Regione Lombardia risulta che circa il 40% dei pazienti ipertesi dopo la diagnosi non ripete la prima somministrazione del farmaco: “Questo significa che o la diagnosi della malattia era errata oppure la terapia non viene regolarmente assunta” aggiunge il presidente dell’ESH Meeting di Milano Giuseppe Mancia.

Questo fenomeno a detta di Mancia “provoca anche un grande spreco di denaro e risorse per l’intera collettività. È stato calcolato che solo in Lombardia 2 milioni e mezzo di euro l’anno potrebbero essere risparmiati. Inoltre la mancata aderenza comporta un incremento dell’incidenza delle patologie cardiovascolari e quindi anche maggiori ospedalizzazioni e conseguenti costi”.

Al Congresso di Milano gli specialisti si confrontano su come incrementare l’aderenza alle cure da parte dei pazienti europei. “La semplificazione della terapia con l’impiego di associazioni di farmaci in un’unica pillola è un’ottima soluzione” aggiunge Agabiti Rosei, questo perché “l’ipertensione è un problema più frequente nella terza età e in Italia un paziente su due dopo i 65 anni è iperteso. Si tratta di malati spesso con altre patologie e che quindi sono costretti ad assumere più compresse contemporaneamente”.

L’incidenza di ipertensione arteriosa è in aumento in tutta Europa (e anche nel nostro Paese). Interessa un cittadino su tre del Vecchio Continente e la prevalenza è destinata ad aumentare a causa dell’invecchiamento della popolazione. In Italia colpisce in media il 33% degli uomini e il 31% delle donne, e Il 19% degli uomini e il 14% delle donne sono invece in una condizione di rischio1. Nel mondo è la prima causa di morte: circa 1,5 miliardi di persone ha una pressione arteriosa elevata e le malattie ad essa correlate provocano oltre 10 milioni di decessi l’anno.

“L’ESH è da anni impegnata non solo nella promozione di progetti di ricerca ma anche in iniziative rivolte alla popolazione e all’intera comunità medica- aggiunge il segretario ESH Konstantinos Tsioufis– e siamo organizzando programmi per dare una nuova forma alla gestione dell’ipertensione: interventi sullo stile di vita nei pazienti, campagne educazionali sullo stato del rischio cardiovascolare sono gli ‘strumenti di oggi’ e i medici dovrebbero essere aggiornati per poterli utilizzare e aprire la strada verso una globale riduzione dell’ipertensione”, conclude Tsioufis.

Mancia: “Consumo sale non meno di 7,5 grammi al giorno”

Diminuire il consumo di sale, introdotto con la dieta, abbassa il rischio di insorgenza di ipertensione. Tuttavia un eccesso di riduzione, al di sotto dei 7,5 grammi di sale al giorno (corrispondenti a 3 grammi di sodio), potrebbe essere dannoso per la salute. Gli specialisti stanno ancora valutando quale sia la dose ideale di sodio da assumere soprattutto per i malati.

Sono queste le conclusioni di uno studio condotto da un gruppo costituito da Word Heart Federation, dalla Società Europea dell’Ipertensione (ESH) e dall’European Public Health Association. Il lavoro scientifico è stato presentato durante il Congresso dell’ESH. “Gli studi clinici finora condotti hanno dimostrato che l’abbassamento della pressione si verifica con un consumo inferiore a 3 grammi di sale al giorno- afferma il presidente dell’ESH Meeting di Milano e primo autore dello studio Giuseppe Mancia- anche se questo genere di interventi di salute pubblica risultano però difficili da condurre su tutta la popolazione mondiale in particolar modo nei Paesi a reddito medio-basso”.

A detta di Mancia “definire la dose di sodio ottimale per il benessere dell’organismo è difficile e controverso. Non abbiamo ancora dati scientifici certi sugli effetti che un consumo moderato di sale offrirebbe alla riduzione del rischio cardiovascolare e di decesso. Il nostro studio- conclude Mancia- suggerisce di limitare l’apporto di sale senza però andare al di sotto dei 7,5 grammi al giorno perché non conosciamo ancora le conseguenze per la salute”.

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