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Studi scientifici: in Europa uno su cinque è targato Italia

Studi scientifici: in Europa uno su cinque è targato Italia

Studi scientifici: in Europa uno su cinque è targato Italia
| lunedì 16 Gennaio 2017

Sono bravi: questo nessuno lo mette in dubbio. Ma sono penalizzati dal vivere nel Paese che investe meno di tutti in ricerca, in Europa. Le capacità degli scienziati italiani non sono evidentemente in discussione, se uno studio clinico su cinque di quelli prodotti nel Vecchio Continente giunge da quello che era il Belpaese.

 Numeri che vengono confermati su scala mondiale, dove gli scienziati italiani sono ottavi, alle spalle dei colleghi che operano in contesti di ben altra levatura: dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Cina alla Germania. Paesi che investono molto più dell’Italia e che attraggono i cervelli nostrani: poco apprezzati entro i confini nazionali , merce pregiata al di là delle Alpi.

IL VALORE DELLA RICERCA ITALIANA 

Nonostante le difficoltà, l’Italia resta però una nazione in cui la ricerca si fa. E bene. Gli scienziati sono quarti in Europa per numero di citazioni e influenza e lungo lo Stivale si realizza il 18,2 per cento di tutte le sperimentazioni europee: con una crescita di due punti percentuali nell’ultimo anno. I trial autorizzati nel solo 2014 sono stati 600 e gli studi su terapie innovative sono raddoppiati grazie anche al connubio tra pubblico (enti di ricerca) e privato (case farmaceutiche), che ha permesso un investimento complessivo pari a 1,4 miliardi di euro nel 2015.

Uno degli esempi, in questo senso, è quello che giunge dalla Fondazione Lilly, nell’ambito del progetto «La Ricerca in Italia: un’Idea per il Futuro». La multinazionale, nel corso della cerimonia di consegna di una borsa di studio da 210mila euro a Ilaria Barchetta, 34 anni, che al policlinico Umberto I indagherà i potenziali benefici per le ossa di alcuni farmaci utilizzati nella terapia del diabete, ha rimarcato la centralità degli investimenti nella ricerca: per il futuro dell’Italia.

UN’OPPORTUNITA’ PER FRENARE L’EMORRAGIA DI SCIENZIATI 

D’altronde, per dirla con le parole di Gaetano Manfredi, rettore dell’Università Federico II di Napoli e presidente della Conferenza dei Rettori Universitari Italiani (Crui), «negli ultimi anni tutti gli indicatori evidenziano che la ricerca dei nostri atenei è di qualità, oltre che tra le più alte al mondo per produttività in rapporto alle risorse investite».

Sempre di più l’università italiana si sta aprendo per reclutare i migliori talenti dall’estero, ma anche verso collaborazioni con privati. L’iniziativa di Fondazione Lilly, all’ottava edizione, testimonia la concretezza di questo sforzo. «Anche in Italia si può ragionare con le logiche delle istituzioni internazionali – sottolinea Andrea Lenzi, ordinario di endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e presidente del Consiglio Universitario Nazionale (Cun) -. A questi livelli di eccellenza la ricerca non può restare confinata nel nostro Paese».

IL PROGETTO PREMIATO 

La ricerca di Ilaria Barchetta punta a mettere a disposizione dei medici una terapia che riduca il rischio di frattura nei pazienti diabetici. «Un’eventualità più frequente – ha spiegato il giovane medico – dettata dalle conseguenze dell’iperglicemia cronica e dello stress ossidativo a carico delle ossa».

Nel progetto saranno arruolati 200 pazienti, al fine di comprendere come si modifichi il metabolismo della vitamina D nell’intestino (sede di assorbimento) e del tessuto adiposo (luogo di stoccaggio). La ricerca sarà condotta al policlinico Umberto I di Roma. L’auspicio è quello che dia i risultati sperati: per le sorti dei pazienti, ma pure di una scienziata italiana che ha deciso di mettersi in discussione in patria, nonostante tutto.

FONTE LA STAMPA

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